Recensione: Divine Comedy
di Olivia Popp
- VENEZIA 2025: Il film di Ali Asgari, fratello metanarrativo di Terrestrial Verses, si immerge profondamente nell'assurdità sepolta nel mondo della censura cinematografica iraniana

L’ultima presenza del cineasta iraniano Ali Asgari nel circuito festivaliero è stata Higher Than Acidic Clouds nel 2024: un documentario personale che tracciava la sua esperienza emotiva dopo il divieto di espatrio imposto dal governo iraniano. La sua nuova prima mondiale a Venezia, in Orizzonti, Divine Comedy, è però più vicina, per stile, al precedente Terrestrial Verses, co-diretto con Alireza Khatami (The Things You Kill [+leggi anche:
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scheda film]) e presentato a Cannes nel 2023. Anche qui torna a esplorare le contraddizioni intrinseche dei sistemi oppressivi, stavolta calandosi nel mondo del fare cinema, con un ulteriore gioco di specchi dato dal coinvolgimento metanarrativo di vari collaboratori di Terrestrial Verses.
Il regista Bahram Ark (che interpreta una versione fittizia di sé) e la sua produttrice Sadaf Asgari (anche lei in una versione fittizia di sé; l’attrice) cercano di proiettare il film di Bahram – a suo dire, una libera rilettura della Divina Commedia di Dante. Tuttavia, il Ministero della Cultura iraniano non lo autorizzerà senza pesanti tagli e rigiri. I due decidono allora di seguire alcune piste che si presentano loro, finendo coinvolti in incontri bizzarri, tra cui il recupero di cocaina da un drone e l’incontro con un uomo che sostiene di essere un profeta, pur di portare a termine la loro missione.
Divine Comedy si apre con un motivo audiovisivo che sembra in parte preso da una commedia romantica, sostenuto da una ariosa colonna sonora jazz che imposta subito il tono leggero e sovversivo del film. I due si lanciano felici in strada su una Vespa rosa confetto, in stile Vacanze romane, con Sadaf alla guida e le mani di Bahram sulle sue spalle – un’immagine che ritorna più volte, quasi come uno “stacchetto” da sitcom ogni volta che riecheggia quel jazz. Asgari però fa affidamento in modo piuttosto marcato su questo segnale per rassicurare lo spettatore che andrà tutto bene, una scelta che alla lunga mette alla prova la pazienza.
Come in Terrestrial Verses, Divine Comedy procede per una serie di vignette (qui però più interconnesse), girate come lunghe scene statiche da un’unica angolazione. Non vediamo mai, per esempio, il “primo volto” della burocrazia: la macchina da presa resta fissa sul viso di Bahram mentre lui si contorce di fronte alla bizzarra trafila di domande sulla censura del suo film (“Il cinema è fantasia,” gli viene detto, “non realtà.”). Il viaggio è decisamente la destinazione, anche se Divine Comedy dà talvolta l’idea di un esercizio già praticato. Pur dispensando la sua dose di ironia, è difficile non pensare a come, nel suo presupposto, potrebbe covare una versione più tagliente che non arriva mai del tutto in superficie.
Divine Comedy è una produzione tra Seven Springs Pictures (Iran) e Taat Films (Iran), coprodotta con Kadraj (Turchia), Zoe Films (Italia), Salt for Sugar (Francia) e Films Studio Zentral (Germania). Le vendite internazionali sono affidate a Goodfellas.
(Tradotto dall'inglese)
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