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TORONTO 2025 Discovery

Recensione: Laundry

di 

- La regista Zamo Mkhwanazi, nata a Durban, fa colpo con il suo lungometraggio d'esordio, un racconto storico di formazione ambientato nella Johannesburg dell'Apartheid degli anni '60

Recensione: Laundry
Ntobeko Sishi in Laundry

Ambientato nella Johannesburg del 1968, nel pieno dell’Apartheid sudafricano, Laundry mette in mostra con grande stile la notevole capacità di cogliere un’epoca e un luogo della cineasta Zamo Mkhwanazi, nata a Durban – senza dimenticare la violenza che contraddistinse quel periodo della storia del Paese. Mkhwanazi ha presentato cortometraggi alla Directors’ Fortnight di Cannes e a Toronto, mentre Laundry è stato selezionato come work in progress per gli Atlas Workshops del Marrakech International Film Festival lo scorso dicembre (vedi la news). Ora ha appena festeggiato la sua première nella sezione Discovery del Festival di Toronto, che offre una posizione privilegiata ai cineasti che presentano il loro esordio o il secondo lungometraggio.

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Mentre il sedicenne Khuthala (l’attore televisivo e cantante Ntobeko Sishi) – talentuoso musicista capace di suonare cinque strumenti – sogna soltanto una carriera nella musica, la sorella minore Ntombenhle (Zekhethelo Zondi), esperta di tecnologia, è più interessata a studiare i manuali delle asciugatrici, il che fa l’orgoglio del padre Enoch (Siyabonga Melongisi Shibe), che gestisce una lavanderia industriale. Enoch prepara Khuthala a rilevare la lavanderia, situata in un quartiere riservato ai bianchi grazie allo status di “exempted native” di Enoch, un sudafricano nero cui sono stati concessi privilegi speciali.

Con i dialoghi prevalentemente in lingua zulu, sentire quel primo frammento di inglese è come uno schiaffo in pieno volto, mentre le successive scene di brutali insulti razzisti da parte di burocrati afrikaner nei confronti di Enoch metteranno i brividi agli spettatori. Per quanto a tratti il film sembri sul punto di scivolare in territori feel-good – anche solo per un istante – Mkhwanazi ci riporta giustamente con i piedi per terra, ricordandoci di continuo le condizioni dei sudafricani neri durante l’Apartheid.

La madre di Khuthala, Magda (Bukamina Cebekhulu), decide consapevolmente di chiudere un occhio sulle relazioni del marito con la cantante Lilian (Tracy September, che contribuisce anche alla musica del film), sapendo che è lui a mantenere a galla la famiglia. Il giovane e ingenuo Khuthala comincia a supplicare Lilian di poter entrare nella sua band e partire in tournée negli Stati Uniti, solo in parte inconsapevole delle complesse dinamiche – tanto personali quanto razziali – in gioco. Questo ci introduce nelle meraviglie stilistiche del film, che Mkhwanazi ha costruito con occhio attento. La scenografia (di Gavin Scates) esplode di colori vivaci e dettagli d’epoca, dagli interni delle abitazioni ai costumi firmati da Nompumelelo Sinxoto: ci sentiamo istantaneamente trasportati indietro di decenni, nella Joburg di allora.

Il maggior risultato di Mkhwanazi è introdurre e integrare il contesto storico senza che il film risulti mai didascalico, sebbene la traiettoria di formazione di Khuthala, intesa come scontro tra famiglia e interessi personali, cominci talvolta a scivolare in secondo piano. La prima metà brilla per l’attenzione della sceneggiatrice-regista alla creazione di scene tese e guidate dai personaggi, mentre la seconda comincia a scomporsi, con le sottotrame tirate un filo troppo. Ciononostante, il finale devastante di Laundry non risulta mai immotivato né una scorciatoia a buon mercato, consegnando un esordio nel lungometraggio indimenticabile.

Laundry è una produzione svizzero-sudafricana di Akka Films e Kude Media.

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(Tradotto dall'inglese)

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