TORONTO 2025 Special Presentations
Recensione: El cautivo
di Olivia Popp
- Alejandro Amenábar racconta la storia dei cinque anni di prigionia di Miguel de Cervantes attraverso un'audace rilettura storica con un tocco queer

Stranamente, si sa davvero poco di Miguel de Cervantes, l'autore di uno dei racconti più famosi di tutti i tempi, Don Chisciotte della Mancia, pubblicato nei primi anni del XVII secolo. È proprio su questo che si basa il nuovo film di Alejandro Amenábar, El cautivo [+leggi anche:
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intervista: Alejandro Amenábar
scheda film]. Riprendendo con entusiasmo la storia sconosciuta, e appena accennata nei libri di testo, dei cinque anni di prigionia di Cervantes ad Algeri, Amenábar ne impregna il mito con un racconto su due uomni gay, prima nemici e poi forse amanti, completato dallo splendore delle scenografie e dei costumi di un'epopea storica. Il film è stato presentato in anteprima mondiale nella sezione Special Presentations del 50mo Festival di Toronto ed è appena uscito nelle sale cinematografiche spagnole, distribuito da Buena Vista International.
Con Julio Peña Fernández nei panni di un Cervantes dalla bellezza disinvolta – con il braccio sinistro ferito nascosto sotto la camicia, il che è storicamente accurato – in poco più di due ore veniamo a conoscenza dei suoi anni di prigionia, dopo essere stato catturato da predoni musulmani che praticavano crociate religiose, confische di beni e commercio di schiavi. Affascinante e arguto, è aiutato da diversi alleati, tra cui il prete del luogo (Miguel Rellán), che riconosce immediatamente il talento letterario di Cervantes, ma viene anche ostacolato da altri, in particolare da frate Blanco (Fernando Tejero), convinto che egli nasconda la sua identità di omosessuale alla ricerca di atti licenziosi.
È qui che El cautivo diventa una sorta di fantasticheria binaria, in cui il cattolicesimo spagnolo conservatore e benevolo si contrappone alla rappresentazione del fanatismo religioso islamico, un regno in cui le contraddizioni sembrano imperversare. L'alcol scorre per le strade di Algeri, dove giovani uomini affascinanti provenienti da ogni ceto sociale trovano da vivere come accompagnatori di ricchi gentiluomini, e la fotografia di Álex Catalán cattura con cura ogni angolo piccante della città. Mentre l'entourage di Cervantes rifiuta di abiurare il cattolicesimo (in cambio della libertà) e mantiene un profilo basso, il giovane inventa un modo per sfuggire al suo destino grazie al suo talento di narratore, attirando così l'attenzione di Hasan, il Pascià di Algeri (un Alessandro Borghi con un pesante trucco agli occhi), egli stesso un migrante convertitosi all'Islam per scalare i ranghi della società.
Un po' come in Le mille e una notte, Cervantes ha diritto a una giornata fuori dalle mura della prigione quando Hasan è soddisfatto della storia che gli racconta. Il rapporto che si instaura tra i due potrebbe inizialmente essere scambiato per una sindrome di Stoccolma, ma la reciproca manipolazione si trasforma rapidamente in fratellanza e qualcosa di più; tuttavia, Amenábar si ferma prima di virare completamente nel territorio della fanfiction. E mentre i prigionieri raccontano storie in cui il Pascià trasforma gli uomini in schiavi sessuali, le battute omofobe fioccano, anche solo per il gusto ironico di sottolineare quanto sia ridicola la loro condizione: dopotutto, tutti quei giovani sotto la custodia di Hasan sembrano divertirsi un mondo.
El cautivo non fa mai di Cervantes una sorta di icona queer di fantasia; l'idea è solo suggerita come una realtà (alternativa) plausibile, senza mai andare oltre un certo limite. Ciononostante, il film ha qualcosa di deliziosamente sovversivo, anche se si tratta semplicemente di un metaforico dito medio alla cosiddetta tradizione.
El cautivo è una produzione delle spagnole MOD Producciones, Himenóptero, Misent Producciones e MOD Pictures e dell’italiana Propaganda Italia. Film Constellation detiene i diritti di vendita internazionale.
(Tradotto dall'inglese)
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