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AMBURGO 2025

Recensione: No Mercy

di 

- Isa Willinger ci invita a scoprire se i film realizzati dalle donne siano più violenti di quelli realizzati dagli uomini, mettendo in discussione i presupposti fondamentali del patriarcato

Recensione: No Mercy

Non molto tempo fa, l'idea che le donne creassero e proiettassero film era piuttosto radicale, come ci ricorda un nuovo documentario, No Mercy. Attraverso la sua narrazione e il suo percorso creativo, la regista tedesca Isa Willinger ci accompagna in un'indagine sul cinema dal punto di vista di un numero sorprendente di registe – la maggior parte delle quali europee – includendo sia i loro film che le loro parole. Il film è stato presentato in anteprima mondiale al Filmfest Hamburg a fine settembre ed è proiettato in questi giorni al Festival do Rio nell'ambito del programma Europe! Voices of Women+ in Film dell'EFP.  

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Willinger parte da una regista e da una domanda che hanno guidato il suo percorso cinematografico: Kira Muratova, la regista ucraina dell'era sovietica nota per il suo stile eccentrico, che affermava che le donne sono in grado di realizzare i film più crudi, duri e violenti. Ma cosa significa realmente? La regista si propone quindi, attraverso No Mercy, di scoprire esattamente questo: si tratta di violenza fisica sullo schermo o forse di qualcosa di psicologicamente terrificante? E cos'è la violenza: è semplicemente rappresentare il mondo attraverso lo sguardo di una donna invece che attraverso quello patriarcale?

Attraverso una serie di interviste illuminanti – e spesso scioccanti – con le protagoniste, Willinger solleva la questione della violenza femminile nel cinema. Virginie Despentes, co-regista del classico cult Baise-moi, afferma di credere che le donne, naturalmente, possano realizzare i film più brutali. Alcune, come Céline Sciamma (Ritratto della giovane in fiamme [+leggi anche:
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), affermano di non volersi cimentare nella "presenza sistematica della violenza" sullo schermo: Sciamma non la ritiene produttiva. Altre preferiscono impegnarsi in modo più sovversivo, come l'austriaca Valie Export, che ha scioccato i registi uomini con la sua opera Tap and Touch Cinema: metà performance art, metà film, in cui trasforma le mani dello spettatore nei propri occhi e chiede alla persona di posarle sul proprio seno (lo “schermo”). Altre ancora, come Ana Lily Amirpour (A Girl Walks Home Alone at Night), credono nella misoginia di fondo che sta dietro alla domanda: nessuno chiede mai a Scorsese perché i suoi personaggi maschili siano sempre violenti e viscidi, scherza.

Ancora più significativo è il fatto che molte delle intervistate ripensino a un tempo in cui festival come il Films de Femmes di Créteil erano davvero radicali, solo pochi decenni fa, quando i film delle registe donne non venivano sostenuti né proiettati e le registe non avevano mai la possibilità di interagire tra loro. In questo senso, No Mercy diventa particolarmente interessante quando Willinger utilizza il documentario per restituire voce a queste registe e consentire loro di parlare dei propri film e delle proprie storie personali sul proprio terreno, a loro piacimento.

Il film si allontana parecchio dall'idea originale di Willinger sulla dichiarazione di Muratova e sul concetto di violenza e conflitto sullo schermo, portandoci a volte a chiederci quanto ogni regista sia realmente in sintonia con l'affermazione di Muratova al di là dei confini del film. Tuttavia, forse è proprio questo il punto: la violenza del patriarcato è onnipresente, e spesso gratuita e fisica, diretta contro le donne. Quando le donne reagiscono, qualsiasi cosa può essere vista come violenza, anche quando si tratta semplicemente di una lotta rivoluzionaria per l'emancipazione che si trasforma in qualcosa di gioioso.

No Mercy è una produzione tedesco-austriaca guidata da Tondowski Films e FlairFilm, in coproduzione con ORF Film/Fernseh-Abkommen e ZDF, in collaborazione con ARTE.

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(Tradotto dall'inglese)

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