Recensione: Amata
- Il nuovo film di Elisa Amoruso racconta i percorsi distinti di due donne verso la maternità, e le loro libere scelte, in un dramma intimo e sociale allo stesso tempo

Una ragazza cammina per strada con fatica, ha un pancione di nove mesi, è evidente che sta per partorire: è sola. Un’altra donna in abito da sera assiste a un concerto per pianoforte, sul palco c’è suo marito, le manca il respiro, deve uscire dalla sala. Cosa accomuna queste due donne e come i loro destini arrivino a sfiorarsi è ciò che ci racconta in un lungo flashback Amata, il nuovo film di Elisa Amoruso (Bellissime [+leggi anche:
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intervista: Valentina Bellè
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Sceneggiato dalla scrittrice e autrice tv Ilaria Bernardini, a partire dal suo romanzo omonimo, Amata è la storia di due donne e dei loro distinti (praticamente opposti) percorsi verso la maternità. Nunzia (Tecla Insolia, 21 anni e già vincitrice di due David di Donatello e un Nastro d’Argento) è una studentessa fuori sede di 19 anni, libera e sfrenata. Viene dalla Sicilia, dove sua madre gestisce una pescheria; la sera va a ballare e fa l’amore. Rimane incinta per sbaglio, e mantenere un figlio per lei è impossibile. Maddalena (Miriam Leone) è un’ingegnera edile sui 40 anni, vive in un lussuoso appartamento con suo marito Luca (Stefano Accorsi), pianista affermato; quando il test di gravidanza risulta positivo, la gioia iniziale sfuma nell’incertezza: desiderano fortemente un figlio, ci hanno provato già tre volte, e anche questo potrebbe rivelarsi un buco nell’acqua.
Nunzia sta per avere un bambino, ma non lo vuole. Maddalena vuole diventare madre, ma non ci riesce. Le due narrazioni scorrono parallele. Da una parte, la solitudine di una ragazza che sceglie di viversi la gravidanza all’oscuro di tutti, convinta che una volta partorito, il bambino “sparirà”; dall’altra, la frustrazione di una donna il cui desiderio di maternità diventa un’ossessione. In mezzo, le culle per la vita. Quelle che un tempo si chiamavano ruote degli esposti, sono piccoli giacigli riscaldati collocati nei pressi degli ospedali, dove una mamma in difficoltà può lasciare il suo neonato, in sicurezza e in anonimato. Dopo 40 secondi la saracinesca si abbassa; la donna ha dieci giorni per ripensarci. Trascorso quel tempo, il bambino può essere dato in adozione.
In Italia, 300 neonati all’anno non vengono riconosciuti alla nascita, ci viene ricordato alla fine di Amata. Il film di Amoruso getta un’importante luce sul tema, trattandolo con delicatezza e umanità. Il filo narrativo che vede protagonista Insolia spicca per visceralità, grazie anche alla sua talentuosa interprete; Leone lavora più sulle emozioni trattenute e i non detti. Ne risulta un dramma intimo e allo stesso tempo sociale, che, nonostante alcuni momenti didascalici – le sedute con la psicologa (Donatella Finocchiaro) o quando sembra si sfiori la tragedia (quegli sguardi sull’abisso, che sia da un balcone o da un’impalcatura in un cantiere) – riesce a trasmettere, sulle note della splendida Te lo leggo negli occhi di Franco Battiato, il senso profondo della libera scelta di due donne di come e quando essere madri.
Amata è una produzione di MeMo Films e Indiana Production con Rai Cinema. Le vendite estere sono affidate a Rai Cinema International Distribution.
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