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ROMA 2025

Recensione: Good Boy

di 

- Il nuovo film di Jan Komasa è un thriller dark e di grande impatto sul tema della rieducazione e della famiglia che protegge e imprigiona, con Stephen Graham e Anson Boon

Recensione: Good Boy
Andrea Riseborough, Kit Rakusen, Stephen Graham e Anson Boon in Good Boy

Tommy ha 19 anni ed è sfrenato. Alcol, droghe, sesso, turpiloquio, violenza. In un montaggio ultra serrato, assistiamo a tutte le malefatte che compie nell’arco di una serata in discoteca con gli amici. È spregevole, dopo pochi minuti si finisce per odiarlo. Si apre così Good Boy, il nuovo film del regista polacco Jan Komasa (Corpus Christi [+leggi anche:
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, candidato all’Oscar), con la presentazione del suo incontenibile protagonista, incarnato con una buona dose di arroganza e spudoratezza dal 25enne inglese Anson Boon (Widow Clicquot, la serie crime Mobland). Dopo la sua prima a Toronto nella sezione Centrepiece e un passaggio al BFI di Londra, il film è stato proiettato in concorso alla 20ma Festa del cinema di Roma, dove Boon si è aggiudicato il premio come miglior attore (leggi la news).

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Dopo un’introduzione shock del personaggio principale, il fuoco si sposta su un mansueto padre di famiglia, Chris (Stephen Graham, pluripremiato per la serie Adolescence [+leggi anche:
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) che assume come domestica una giovane donna macedone, Rina (Monika Frajczyk), avvertendola che nella sua bella casa in mezzo alla campagna dello Yorkshire – dove l’uomo vive con sua moglie Kathryn (Andrea Riseborough) e suo figlio 12enne Jonathan (Kit Rakusen) – potrebbe assistere a qualcosa di strano, ma di non preoccuparsi perché è tutto sotto controllo. La cosa strana è che in cantina c’è un ragazzo con una catena al collo ed è proprio Tommy. Chris lo ha rapito mentre il ragazzo barcollava per strada al termine della sua folle serata e ora l’intenzione dell’uomo è tenerlo prigioniero per rieducarlo, a colpi di musica classica, libri, lezioni audio su come placare la rabbia, filmati di sensibilizzazione contro le droghe e la guida in stato di ebbrezza, e una sorta di “cura Ludovico” in cui il 19enne è costretto a rivedere, fino a provarne nausea, i suoi video diventati virali sui social in cui picchia a sangue qualcuno o bullizza un bambino.

È tutto molto inquietante e ambiguo in questo film, che vede tra i suoi produttori Jerzy Skolimowski (EO [+leggi anche:
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). Quello che inizialmente sembra un metodo di punizione/riabilitazione supportato dalle migliori intenzioni (benché decisamente estremo) comincia a mostrare il suo lato più oscuro. C’è un passato doloroso alle spalle di questa strana famiglia composta da una madre depressa, un figlio che al contrario sorride sempre (il suo soprannome è “Sunshine”) e un padre premuroso che cerca di trovare un modo per rimettere insieme i pezzi. Lo spunto iniziale di critica sociale (contro i giovani allo sbando, dipendenti dai social, che non hanno rispetto per nulla e tendenti al vittimismo, quindi da rieducare) evolve quindi in una sorta di thriller psicologico in cui non sai più chi è la vittima e chi il carnefice. La famiglia, di sangue o acquisita, è un nido che protegge e allo stesso tempo imprigiona, controlla, manipola. L’amore può diventare una gabbia, e questo non sempre è un male. Komasa si conferma un autore per niente scontato, con questo suo nuovo film scomodo, spiazzante e anche divertente.

Good Boy è prodotto da Skopia Film (Polonia) e Recorded Picture Company (Regno Unito) ed è venduto nel mondo dalla britannica HanWay Films.

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