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JIHLAVA 2025

Recensione: Film di Stato

di 

- Il documentario di Roland Sejko racconta la macchina propagandistica usata da Enver Hoxha in Albania, che evoca l’idea trumpiana odierna di comunicazione costante e aggressiva

Recensione: Film di Stato

Donne e bambini in lacrime, uomini con il pugno chiuso, in una interminabile fila, si avvicendano intorno ad una tomba, la toccano commossi. È il 1985, a Tirana, e il sobrio mausoleo in marmo è quello di Enver Hoxha, il dittatore comunista che è rimasto al potere per più tempo nel mondo. Sono le prime immagini di Film di Stato di Roland Sejko, presentato in anteprima mondiale alle Notti Veneziane delle Giornate degli Autori di Venezia 2025 e ora nel Concorso principale Opus Bonum del Festival internazionale del documentario di Ji.hlava, e che racconta i 40 anni durante i quali Hoxha ha governato l’Albania con un regime brutale e isolazionista. 

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Vincitore di un David e un Nastro d'argento per i suoi documentari caratterizzati dal riuso creativo del cinema d’archivio, Roland Sejko è attualmente direttore della redazione editoriale dell’Archivio Storico Luce. Film di Stato descrive la macchina propagandistica che ha segnato la parabola della dittatura albanese utilizzando esclusivamente materiali, spesso inediti come film di propaganda ufficiali, riprese dai fondi riservati o privati della nomenklatura provenienti dall’Archivio Centrale del Film d’Albania e il Fondo del Comitato Centrale del Partito del Lavoro.

Lasciando il sonoro originale, ed esaltandone crepitii e fruscii - il sound design è di Paolo Amici - il doc ci mostra parate di operai e operaie, agricoltori sorridenti sullo sfondo di bandiere rosse e slogan come “La prima trebbiatura va allo stato”, e i volti di Stalin e Hoxha. È il momento di massima intesa con i sovietici: Hoxha visita il mausoleo di Lenin, assiste agli imponenti esercizi ginnici dei giovani russi accanto a Stalin, l’uomo che ha deportato milioni di dissidenti nei gulag. A casa, Hoxha inaugura nuove statue, tieni discorsi davanti a folle oceaniche, come quello per la morte di Stalin, “amato padre e maestro”, giura di difendere la pace “contro i guerrafondai imperialisti e i loro servi”. Firma un trattato con il nuovo capo del Cremlino Nikita Chruščhov, che diventerà poi bersaglio dei suoi strali (“revisionista e traditore dei princìpi marxisti-leninisti”).

Dopo la rottura con la Russia, il nuovo alleato è ora la Cina di Mao Zedong, che fornisce aiuti finanziari e supporto a un Paese che è diventata ormai una fortezza ideologica blindata, caduta in una spirale paranoide che coinvolge drammaticamente un intero popolo. La costruzione di migliaia di bunker si scontra con le coloratissime coreografie delle esercitazioni militari o dei festeggiamenti del 1 maggio che sembrano musical statunitensi. Il culto della personalità è permeante, l’aspetto orwelliano della macchina di controllo della popolazione coinvolge ogni istante della vita del cittadino, come un diabolico Grande Fratello.

Film di Stato è pensato nella forma più pura del documentario, quella in cui non interviene nessun commento storico, nessuna voce fuori campo, nessuna didascalia. La narrazione è totalmente affidata al montaggio (di Luca Onorati). Questo presuppone da parte dello spettatore una se pur minima conoscenza della Storia, per poter apprezzare lo svelamento dei meccanismi della propaganda ideologica e le sue conseguenze. Le dimensioni di questo incubo durato mezzo secolo si desumono infatti da una sola brevissima sequenza in cui viene illustrato un rapporto sullo stato dell’economia che parla di disponibilità limitata di merci, di file ai negozi, di fronte al volto indifferente di Hoxha.  Ma non possono raccontare quello che hanno riferito in seguito i testimoni imprigionati dal più temuto servizio segreto dell’Est europeo, con l’implacabile ingranaggio poliziesco che stritolava sia il cittadino comune che i membri della nomenklatura. Facile ricavare da Film di Stato una lezione sulla politica post-ideologica dell’oggi, con l’idea trumpiana di comunicazione costante e aggressiva resa attraverso l’uso di immagini che fanno da cassa di risonanza ai messaggi falsi e impongono una visione del mondo univoca.

Film di Stato è prodotto da Luce Cinecittà, che si occupa delle vendite estere.

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