Recensione: Anemone
- Assente dallo schermo da otto anni, Daniel Day-Lewis è protagonista del film d’esordio del figlio Ronan, un dramma familiare che si perde tra momenti troppo contemplativi e visioni simboliche

Negli ultimi decenni non solo abbiamo ucciso Dio, come ci ha spiegato Nietzsche, ma abbiamo anche incominciato a eliminare i padri. Di padre e di padri si parli oggi con una assiduità quasi ossessiva, parole come paternalismo e patriarcato pervadono la discussione pubblica associate all’idea della violenza del dominio maschile. E i figli? Dopo la rivolta anti-genealogica, il tentativo di emanciparsi dalla catena di continuità, oggi si lamenta l'assenza dei padri, la loro tendenza ad abdicare. E la letteratura e il cinema hanno puntualmente intercettato la complessità e le contraddizioni dei codici affettivi, mostrando la forza e la fragilità dei legami familiari. È quello che fa il ventisettenne Ronan Day-Lewis con la sua opera prima Anemone, presentato in anteprima a fine settembre al New York Film Festival, passato al BFI di Londra e premiato a ottobre come Migliore Opera Prima ad Alice nella Città di Roma, che uscirà nelle sale italiane il 6 novembre con Universal Pictures International Italy e nel Regno Unito il 7 novembre con Universal Pictures International UK. Per il regista, Anemone è una sorta di corto circuito tra cinema e vita reale: il padre tre volte premio Oscar Daniel Day-Lewis ha co-scritto la sceneggiatura insieme al figlio Ronan, e per questo film è tornato a recitare per la prima volta dopo otto anni di assenza.
Day-Lewis interpreta Ray Stoker, un ex soldato britannico che si è auto-relegato nei boschi del Nord dell'Inghilterra a causa di un presunto “crimine di guerra” compiuto mentre combatteva l’IRA durante i primi Troubles nell’Irlanda del Nord. Il fratello Jem (Sean Bean), che vive a Sheffiled con la moglie di Ray, Nessa (Samantha Morton), e con il figlio di lei, l'adolescente Brian (Samuel Bottomley), un giorno sale sulla sua Honda Africa Twin e raggiunge il fratello. Brian mostra i segni di un disagio che sempre di più sfocia nella rabbia, ha quasi ucciso a pugni un altro ragazzo che lo prendeva in giro per quel padre che lo ha abbandonato prima ancora che nascesse. Ray, lo esorta il fratello, deve tornare a casa e “occupare quello spazio” a cui ha rinunciato. Il figlio Telemaco, insomma, ha bisogno del padre assente Ulisse.
Nella foresta i due fratelli ingaggiano un corpo a corpo dialettico in cui vengono evocati tutti fantasmi del passato, non solo le cicatrici delle bombe dell’IRA che facevano strage nei pub. Sono ricordi a cui Ray non fa sconti: un padre violento (che però coltivava gli anemoni del titolo), la violenza sessuale da parte di un sacerdote, padre Rippon (“non abbiamo mai avuto fortuna con i padri, vero?”, dice con sarcasmo). Ray sbeffeggia il fratello Jem per la sua fede incrollabile. A lui la vita ha insegnato a non credere più in nulla. Indugia nel racconto dettagliato della sua puerile vendetta su padre Rippon, mostrando quanto il regista sia consapevole dell’importanza della religione nell’affrontare un dramma familiare ambientato del nord dell’Inghilterra.
Questo lungo confronto è sottolineato dalla colonna sonora di Bobby Krlić, la cui chitarra evoca le sonorità dei Cranberries, un misto fra dream pop, folk irlandese e brit rock. La fotografia di Ben Fordesman è al servizio della sensibilità del regista, che prima di approdare al cinema si era fatto un nome nel mondo dell'arte visiva con i suoi pastelli a olio su tela in uno stile che lui ha definito "romanticismo punk". C’è una cura estremamente attenta, a volte eccessiva, dell’immagine, nella composizione degli elementi nello spazio, con un andamento talmente rallentato da andare contro una costruzione drammaturgica coerente. I due lunghi monologhi del sempre straordinario Daniel Day-Lewis sono diluiti in un prolungato percorso interiore attraverso la perdita e la riconquista dell'identità paterna, che il regista concretizza in un viaggio catartico dei due fratelli nella natura. Anemone avrebbe beneficiare di un montaggio più serrato, rinunciando ad alcuni momenti troppo contemplativi e a certe visioni altamente simboliche, fin troppo sottolineate.
Anemone è prodotto dalle britanniche Granada Films e Absinthe Film Entertainment con le statunitensi Focus Features e Plan B.
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