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BLACK NIGHTS 2025 Concorso opere prime

Recensione: Interior

di 

- Effrazioni domestiche e sorveglianza degli inquilini a fini scientifici innescano una catena di eventi nel coraggioso esordio di Pascal Schuh

Recensione: Interior
Daniil Kremkin in Interior

Quando qualcuno irrompe in un luogo, il movente è solitamente quello di rubare qualcosa di valore. Raramente i ladri lasciano qualcosa, e se questo accade, di solito si tratta di qualche tipo di apparecchiatura di sorveglianza installata da qualche parte. È in qualche modo più etico se qualcuno lo fa per scopi di ricerca scientifica? Dove si trovano esattamente i confini della privacy altrui e cosa succede nelle nostre case quando non ci siamo? Sono queste le domande iniziali alla base del lavoro di diploma e debutto nel lungometraggio di Pascal Schuh, Interior, appena presentato in anteprima nel concorso opere prime del Black Nights di Tallinn.

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Un ladro muto identificato come Kasimir (Daniil Kremkin) si introduce di nascosto nelle case altrui quando i proprietari sono assenti, per installare sistemi di sorveglianza. Poi li filma clandestinamente nei loro momenti più intimi e porta i nastri all’enigmatico dottor Liebermann (Knut Berger), che studia le emozioni umane, le reazioni ad esse e il comportamento umano in generale. Kasimir vive anche con il dottore, nel garage della sua casa, e prepara sempre la stessa cena per entrambi, giorno dopo giorno. A volte fanno serate di karaoke. Forse il dottor Liebermann sta per scoprire qualcosa di grande, e il ruolo di Kasimir è essenziale.

Le regole del dottore per le azioni di Kasimir sono semplici e ferree: non può intervenire, qualunque cosa accada, perché così facendo comprometterebbe i dati. Ma, sebbene tra i due ci sia una sorta di dinamica alla Frankenstein, Kasimir non è un mostro senza emozioni, quindi quando le situazioni che osserva si fanno più complesse o addirittura mortali, è destinato a reagire e a intervenire. Dall’altra parte, il medico freddo e metodico comincia a nutrire sentimenti per una persona che inizialmente trattava come uno strumento.

Pensate a Hereditary e Midsommar di Ari Aster concepiti in una vena che scivola dalla Greek Weird Wave al cinema nichilista di Harmony Korine, e costruiti attorno ad aneddoti cupi e bizzarri pescati direttamente dalle pagine di cronaca nera e incidenti dei giornali locali tedeschi: ecco un modo per descrivere Interior. Un altro sarebbe l’arco emotivo della storia di Frankenstein con un accenno di romance queer. Tuttavia, per quanto il film sia pieno di rimandi – o presti il fianco a molti –, Interior è qualcosa di nuovo, rinfrescante, coraggioso, realizzato con una notevole visione e perizia.

Ogni singolo elemento è pensato con cura ed è essenziale per il film – dalla scenografia unica di Olga Gredig, ai costumi, alla partitura di Erik Johann Fodi che continua a introdurre nuovi strumenti nel mix, fino alla fotografia di Greta Isabella Conte, che si fa più scomposta man mano che le emozioni si complicano, e al montaggio sempre precisissimo di Frederik Franke. La sequenza centrale di un intervento a cervello aperto, fusa con un assolo di sax e un disturbante segmento onirico, è una prova di virtuosismo che mette in mostra il talento registico di Schuh e potrebbe tranquillamente reggere come cortometraggio a sé, ma funziona altrettanto bene all’interno di questo lungometraggio.

Interior è un film studentesco realizzato con un budget risicatissimo, ma è stato costruito con entusiasmo e visione, il che significa che lungo il percorso sono state prese tutte le decisioni giuste. Probabilmente non avrebbe potuto essere realizzato in altro modo: è sicuramente ben ponderato, ma mai calcolato. È un’opera di cinema sregolata, scioccante, audace, cerebrale e viscerale, che non capita di vedere abbastanza spesso nel circuito festivaliero, e dev’essere costata uno sforzo titanico alla giovane troupe che l’ha realizzata.

Interior è una produzione tedesca di Schöne Aussichten Filmproduktion in coproduzione con Filmuniversity Babelsberg KONRAD WOLF.

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(Tradotto dall'inglese)

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