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FILM / RECENSIONI Spagna / Francia

Recensione: Pheasant Island

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- Il lungometraggio d’esordio del regista basco Asier Urbieta, ambientato sull’isola dei Fagiani, pone domande interessanti e getta una luce su una realtà socio-geografica poco raccontata

Recensione: Pheasant Island
Sambou Diaby, Ibrahima Kone e Jone Laspiur in Pheasant Island

L’isola dei Fagiani è un isolotto che sorge sul fiume Bidasoa, al confine tra la Francia sud-occidentale e i Paesi Baschi, nel nord della Spagna. È considerato il più piccolo condominio al mondo, essendo amministrato per sei mesi da un Paese e sei mesi dall’altro. Per passare dalla Francia alla Spagna, e viceversa, basta attraversare un ponte che è costantemente presidiato dalla polizia. Pertanto, ci sono migranti che per entrare in Francia senza documenti si buttano in acqua sperando di raggiungere sani e salvi l’altra sponda del fiume. È lì che ci porta Pheasant Island [+leggi anche:
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, il lungometraggio d’esordio del basco Asier Urbieta, regista e sceneggiatore già pluripremiato per il suo corto Pim Pam Pum e noto per la fortunata serie tv Altasu. Presentato in anteprima al 48mo Festival di Göteborg lo scorso gennaio, il film, che trae spunto proprio da questi drammatici attraversamenti di confine a nuoto, ha appena ricevuto il premio della giuria popolare del 30mo Linea D’Ombra Festival di Salerno, dove era in gara nel concorso Passaggi d’Europa.

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Alla proiezione a Salerno, l’applauso scattato spontaneo prima ancora della fine del film era stato un chiaro segnale della partecipazione emotiva del pubblico. La storia è quella di una coppia mista composta da Laida (Jone Laspiur, Goya per la miglior attrice rivelazione) e Sambou (Sambou Diaby, anche lui premiato attore di teatro e tv), che vivono felici nei pressi dell’isola del titolo divisa da una linea invisibile, che di fatto segna il primo confine del Vecchio Continente che incontrano le persone che migrano dall’Africa all’Europa. Un giorno, passeggiando lungo il fiume, i due scorgono due persone che si agitano in acqua, in evidente difficoltà. Laida non ci pensa due volte e si tuffa per soccorrerle; Sambou rimane a guardare, impietrito. Con molta fatica, Laida riesce a portare in salvo un ragazzo, mentre l’altro – l’amico che stava attraversando il fiume con lui – scompare trascinato dalla corrente. Laida non capisce perché Sambou non abbia reagito, nemmeno lui sa darsi una spiegazione. Tra i due, non sarà più come prima.

Come può una coppia fronteggiare una crisi morale del genere? Come può Laida guardare in faccia Sambou e non pensare che il suo compagno è rimasto immobile davanti a un essere umano in pericolo, e che, con tutta probabilità, non si sarebbe mosso nemmeno per salvare lei stessa, se fosse stato necessario? Questo dilemma, che ricorda quello al centro di Forza maggiore di Ruben Östlund, percorre sottilmente tutto il film, che di fatto poi si allarga ad altri temi (l’accoglienza, la solidarietà, i pregiudizi) e si sviluppa come un thriller, poiché Laida, sempre più coinvolta emotivamente, decide di condurre la sua personale indagine per ritrovare il ragazzo che ha salvato (interpretato dal maliano Ibrahima Kone) ma anche per scoprire che fine ha fatto l’altro giovane scomparso tra le onde.

Immerso in questa strana terra di confine, dove la polizia ti ferma solo se sei nero e dove il ritrovamento di corpi annegati è una triste consuetudine, Pheasant Island è un film che vale la pena vedere perché pone domande interessanti (“e voi che fareste al posto loro?”, sembra chiederci l’autore), perché getta una luce su una realtà socio-geografica poco raccontata e perché al suo approccio realistico di base sa aggiungere tocchi poetici inaspettati – e due giganti di cartapesta hanno un ruolo centrale in questo – che aprono il cuore e allargano gli orizzonti.

Pheasant Island è una produzione delle spagnole Arcadia Motion Pictures, La Tentación Producciones e Galatea Films, in collaborazione con La Fidèle Production (Francia). Latido Films si occupa delle vendite internazionali.

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