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IDFA 2025

Recensione: Confessions of a Mole

di 

- La regista cinese residente a Varsavia Mo Tan supera i confini del documentario personale con il suo lungometraggio d'esordio, in cui la presenza della telecamera è costante e implacabile

Recensione: Confessions of a Mole

Raramente un documentario si è nutrito così tanto di attriti interpersonali come Confessions of a Mole, esordio nel lungometraggio della regista cinese residente a Varsavia Mo Tan. Sin dall’inizio del film, che ritrae l’ultimo giorno di Mo al Dipartimento di Regia della Lodz Film School (nel 2018), la presenza della macchina da presa è costante e implacabile. Quello che comincia come un discreto film-diario dai tratti saggistici – in particolare la narrazione in prima persona che ci guida lungo tutta la durata del film e gli occasionali flashback – porta il tono confessionale all’estremo, dalla scoperta da parte di Mo di un neo sul viso fino a una crisi di salute fisica e mentale. Confessions of a Mole ha avuto la sua prima mondiale all'IDFA, nel concorso Envision del festival.

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Sebbene gran parte del film si svolga in Cina (e in cinese), la Polonia resta per tutto il tempo un luogo di sogni e libertà. Fiduciosa dopo aver terminato gli studi alla prestigiosa Lodz Film School, Mo afferma che ora le si aprono due strade: diventare una regista di successo in patria o trasferirsi dai genitori e rimanere nel villaggio in cui è cresciuta, abbandonando ogni ambizione professionale. Pronuncia ridendo la seconda opzione, a segnalare un futuro creativo e pieno di speranza, ma quando la Cina la accoglie con un abbraccio soffocante, l’unica cosa che la tiene ancorata è l’atto stesso di filmare.

La macchina da presa diventa uno strumento per prendere le distanze da una madre autoritaria, per guardare oltre un padre emotivamente disconnesso e per affrontare le crescenti pressioni del matrimonio e della maternità che la sua famiglia allargata le impone. Sebbene un impianto del genere non sia esattamente nuovo o rivoluzionario, colpisce la sincerità del cinema di Mo. Non solo filma i litigi con il fidanzato e con i parenti; rivolge l’obiettivo anche su se stessa, documentando momenti di estrema, nevrotica vulnerabilità. Pur trasmettendo un’aria sensazionalistica, queste scene non sono né reality né finzione, e la crudezza di questo materiale (che ritragga la regista o sua madre) è spaventosamente intima.

Se Confessions of a Mole affronta un tipo di storia personale a cui ci si può avvicinare solo attraverso le crepe della narrazione della “famiglia felice”, il titolo del film esemplifica quanto, a tratti, il suo tono possa farsi giocoso. Ad esempio, personificare il neo sul viso di Mo diventa un veicolo narrativo per la trama, e spesso animazioni in stop-motion interrompono lo stile verité delle riprese, a volte persino occupando spazio nell’inquadratura “live action”. Le animazioni individuano i nemici astratti del film – un enorme occhio incarna l’opprimente attenzione materna e, grazie allo stop-motion, agli oggetti di scena e ai costumi, il neo, una volta moltiplicato, si trasforma nel cancro al seno contro cui Mo dovrà combattere. Nella sua voce fuori campo, c'è umorismo e autoriflessione, ma non sembra mai una giustificazione o una compensazione per il modo in cui l'abbiamo vista reagire nelle scene più concitate.

Al centro, però, c’è una ferita generazionale che più Mo indaga più si allarga. Di conseguenza, Confessions of a Mole è destinato a essere un mix di toni e stili, sperimentale nel senso più letterale del termine, perché in esso il cinema fornisce l'ancora di salvezza per continuare a provare: per vivere, per cambiare, per fare pace con le fratture che l'amore può causare.

Confessions of a Mole è una coproduzione cino-polacca di Beyond Frozen Films, SQUARE film studio e BEEFilm.

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(Tradotto dall'inglese)

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