email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

BLACK NIGHTS 2025 Concorso

Recensione: LifeLike

di 

- Il terzo lungometraggio di Ali Vatansever indaga la mortalità e la fuga nel digitale sotto forma di un dramma familiare ibrido, imperfetto ma avvincente

Recensione: LifeLike

In LifeLike [+leggi anche:
trailer
intervista: Ali Vatansever
scheda film
]
, presentato nel concorso principale della 29ma edizione del Festival Black Nights di Tallinn, il cineasta turco Ali Vatansever immerge gli spettatori in una famiglia in caduta libera, divisa tra la crudezza di una malattia terminale e le illusioni scintillanti dei mondi virtuali. È interessante notare che il terzo lungometraggio di finzione del regista si muove tra gli interni angusti di Istanbul e i panorami al neon di VRChat, tessendo un dramma al contempo intimo, sperimentale e diseguale nella sua resa emotiva.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Il diciannovenne Izzet (interpretato dal talentuoso Onur Gözeten) ha ricevuto una prognosi senza margini di speranza. Confinato nell’appartamento dei genitori, con le ossa doloranti e il tempo che scorre inesorabile, si rifugia in VRChat, l’unico luogo in cui il suo corpo non lo tradirà. All'interno dei regni fantastici della piattaforma, balla, scherza e costruisce una realtà lontana dalla routine medica che scandisce le sue giornate. Crea un compagno digitale, vaga attraverso paesaggi da lui stesso progettati e cerca, con crescente urgenza, di rivivere frammenti di giovinezza che la malattia gli ha strappato via.

I genitori affrontano il suo declino in modi molto diversi. Reyhan (Esra Kızıldogan), incapace di fare i conti con ciò che sta per accadere, si reinventa come luminosa personalità online, trasmettendo video dal tono gioioso a un seguito fedele mentre, in privato, sprofonda nella superstizione. Si aggrappa a voci su erbe miracolose e rituali, convinta che la salvezza possa ancora nascondersi da qualche parte tra i rimedi popolari e gli scroll infiniti. Il marito Abdi (Fatih Al), malinconico autista di scuolabus, si ritrae quasi del tutto. Trascorrono lunghi momenti in cui parla a malapena, inquadrato da Vatansever di profilo o in ombra, come se si ritraesse dal mondo. Solo quando inizia a cercare consigli spirituali, i contorni del suo dilemma morale si delineano.

Vatansever, egli stesso docente e praticante di VR, affronta il materiale con ambizione stilistica. La tavolozza visiva ibrida del film – la grana della quotidianità in contrappunto con ambienti VR fluorescenti popolati da attori che interpretano i propri avatar – crea un senso di permeabilità tra il fisico e il digitale. L'integrazione è straordinariamente fluida a livello tecnico, e il contrasto tra la realtà beige della famiglia e i paesaggi onirici saturi di Izzet conferisce al film una solida struttura concettuale. Eppure questo stesso dispositivo, a tratti, mantiene lo spettatore a distanza, attenuando trame emotive che la storia ci chiederebbe di affrontare di petto.

Il film ruota attorno a una domanda impossibile: che forma assume l’amore genitoriale quando l’unica cosa che un figlio desidera è la liberazione? Il punto di svolta arriva dopo un tentativo di suicidio fallito, che scuote Abdi e lo spinge ad agire. In uno degli sviluppi più efficaci del film, trasforma il suo scuolabus in un rifugio mobile e porta il figlio in un ultimo viaggio verso le montagne dove dovrebbe crescere la mitica pianta curativa di Reyhan. Man mano che padre e figlio si avvicinano sempre di più a un tacito accordo, le immagini VR e live-action iniziano a fondersi, non come spettacolo, ma come metafora visiva del confine sempre più sottile tra speranza e resa.

Le interpretazioni del trio sono ben cesellate, in particolare il ritratto misurato di Al di un uomo schiacciato dall’impotenza. Alcuni sottili tocchi di ironia sono intervallati nel film, con un effetto encomiabile. Il ritmo, però, vacilla nella parte centrale e la linea narrativa di Reyhan, per quanto tematicamente ricca, scivola talvolta nella ripetizione.

Ciononostante, LifeLike si distingue per il suo approccio formalmente avventuroso a un tema delicato. La sua commistione di mondi digitali e fisic può non riuscire in modo impeccabile, ma la volontà di Vatansever di spingere oltre la cornice estetica ed etica del dramma familiare rende il film un titolo distintivo nella selezione di Tallinn.

LifeLike è stato prodotto da Terminal Film (Turchia), Aktan Görsel Sanatlar (Turchia), Foss Productions (Grecia) e Da Clique (Romania).

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dall'inglese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy