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BLACK NIGHTS 2025 Concorso

Recensione: La buena hija

di 

- Il secondo lungometraggio di Júlia de Paz Solvas è un racconto di formazione in cui la maturità nasce dalla vulnerabilità

Recensione: La buena hija
Kiara Arancibia e Julián Villagrán in La buena hija

Un divorzio, un padre aggressivo, una madre stanca e frustrata, una figlia confusa, divisa tra i due… Quante cose sconosciute possono esistere in una situazione fin troppo comune? Júlia de Paz Solvas dimostra per la seconda volta il suo talento nell’estrarre ciò che è singolare da storie apparentemente quotidiane e banali, e nel rivelare una sensibilità per la catastrofe silenziosa che approfondisce le ferite più di quanto appaia a prima vista. Dopo aver ritratto il rapporto tra una madre sopraffatta e sua figlia nel suo esordio Ama [+leggi anche:
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, la giovane regista catalana esplora da vicino il legame tra un’adolescente e il suo padre instabile e violento, fondendosi con lo sguardo della ragazza, in La buena hija. La madre, in questa configurazione quasi incestuosa, rimane a lungo l’intrusa incompresa e molesta, ai cui avvertimenti la figlia del bravo papà difficilmente crederà, almeno finché non ne sperimenterà le conseguenze in prima persona. Il film è stato presentato in concorso al Festival Black Nights di Tallinn.

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Senza troppi preamboli, la situazione familiare è chiara fin dall’inizio: Carmela (Kiara Arancibia) incontra il padre (Julián Villagrán) in un centro di mediazione sociale, poiché a lui è vietato avvicinarsi alla madre (Janet Novás), a quanto pare per violenza domestica. Per Carmela, questi incontri sono molto attesi perché ristabiliscono il legame con metà della sua identità, una persona cara, ma distante e in qualche modo incomprensibile. I momenti che trascorre con lui fuori dal centro ricordano una relazione intima tossica: lui è estremamente emotivo ed esplosivo, mentre lei è felice, ansiosa e persino gelosa. È così che crescono le ragazze che poi per tutta la vita si sentono attratte da uomini carismatici, demoniaci e aggressivi, e soffrono senza fine a causa loro?

Kiara Arancibia agisce più d'intuito che di ragione, il che le permette di esprimere l'inesprimibile attraverso lo sguardo, le espressioni facciali, i gesti e il linguaggio del corpo. Tra lei e Julián Villagrán si percepisce un’alchimia innegabile, sfumata dall'intensità della sua aura paterna, un uomo che non ha mai veramente compreso la paternità e che crea tra loro un palpabile senso di sventura, alimentato dalla sua immaturità. Sentendosi inadeguato di per sé e nutrendosi della figlia come un vampiro, il suo personaggio riesce a creare un'atmosfera di reciproca ossessione prima di svanire, lasciando ferite dietro di sé, ma anche, inconsciamente, creando spazio per la loro guarigione. In ultima analisi, La buena hija racconta una separazione, non tra ex coniugi, ma tra figlia e padre; quantomeno recidendo il legame fisico, permettendo alla figlia di passare alla fase successiva della sua vita. La metafisica, nel bene e nel male, non finisce mai veramente. 

La buena hija è una produzione delle spagnole Astra Pictures e Avalon, in coproduzione con la belga Krater Films. La tedesca Beta Cinema si occupa delle vendite internazionali.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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