Recensione: Il primo figlio
- L’esordio alla regia della sceneggiatrice Mara Fondacaro è un horror piuttosto acerbo sul tema della maternità che guarda al cinema gotico legato al territorio

I film horror firmati da registe europee donne si contano su una mano, e se non ci fosse stata Julia Ducournau, il genere sarebbe rimasto appannaggio maschile e non sarebbe usato oggi per affrontare tematiche inerenti il corpo e la condizione femminile. Suscita quindi legittima curiosità l’esordio alla regia della sceneggiatrice trentenne napoletana Mara Fondacaro, Il primo figlio, presentato alla Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, quindi Premio SIAE per la sceneggiatura alla 18ma Festa del cinema di Roma e ora in uscita nelle sale italiane, dal 27 novembre con Lo Scrittoio.
Il primo figlio rimane nel solco più tradizionale dell’horror psicologico, seppure con quello sguardo femminile che ha reso un film di culto, ad esempio, Babadook dell’australiana Jennifer Kent, e che si addentra nelle dinamiche del senso di colpa materno causato dalla richiesta di perfezione propria di una società maschilista. Horror psicologico e anche un po’ filosofico, tanto da esordire con una lezione all’università in cui la protagonista Ada (Benedetta Cimatti) parla agli studenti del concetto di angoscia secondo Kierkegaard, “quel sentimento che sopraggiunge davanti alle infinite possibilità che ci si aprono davanti”, la paura di fare la scelta sbagliata e rimpiangere quelle alternative. Che è l’idea alla base della sceneggiatura scritta dall’autrice.
Ada è sposata con Rino (Simone Liberati), un collega che insegna letteratura, ed è incinta. A pochi giorni dal parto la coppia ha deciso di tornare nell’antica cascina di pietra vicino al lago dove, scopriamo presto, qualche anno prima è accidentalmente affogato il loro figlioletto Andrea (Lorenzo Ferrante). Anche se fingono di star bene, entrambi soffrono ancora molto per quella tragedia. Le cose prendono una piega inquietante quando una notte di tempesta Ada trova il trenino con il quale stava giocando Andrea al momento della morte e il giorno dopo pensa di vederlo, la pelle del viso macerata dall’acqua.
All’insaputa del marito, Ada incontra l’amica Paola (Astrid Meloni), una sensitiva dedita allo spiritismo che di mestiere guida i turisti nei luoghi consacrati ad una divinità pagana, Mefite, legata alle acque e invocata per la fertilità femminile, che in epoca romana si è però trasformata in una entità malevola che custodisce nel suo lago uno degli ingressi agli Inferi.
Le due donne organizzano una seduta per evocare il bambino morto, con la raccomandazione da parte di Paola di non chiedere mai ad uno spirito di tornare nel mondo dei vivi. Ada trasgredisce puntualmente. Il bambino rivela malignamente il suo scopo: impedire la nascita del fratello. Per rimanere nei canoni del genere, la regia cerca alcuni jumpscare, ben sottolineati dalla musica di Alessandro Ciani. mentre la fotografia livida di Fabio Paulucci fornisce i toni blu acquatici che rimandano alle profondità del lago, che assieme alla casa definisce il perimetro perturbante del film.
Veicolandoli attraverso la forma dell’horror, Il primo figlio esprime i temi della elaborazione del lutto, della difficoltà nel ritrovare un equilibrio tra il ruolo genitoriale e la relazione di coppia, di una maternità a cui è richiesta presenza e dedizione continua. Più che a modelli alti e distanti (geograficamente e nel tempo) come il classico Rosemary’s Baby, l'impianto horror è debitore verso il gotico che guarda al folklore paranormale e alle superstizioni della provincia italiana, rappresentato soprattutto dal cinema di Pupi Avati. Il primo figlio è un esordio piuttosto acerbo che serve per scaldare i muscoli di una promettente regista che è già al lavoro su nuovi progetti.
Il primo figlio è prodotto da Nightswin e Sajama Film, con il sostegno di Regione Molise e MIC – Ministero della Cultura.
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