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CANNES 2005 Un Certain Regard

Johanna, il miracolo Mundruczó

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A pochi giorni dalla fine della rassegna cannese, gli inviati di Cineuropa non hanno dubbi: il film più originale, affascinante e insolito si chiama Johanna [+leggi anche:
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. L'autore è Kornél Mundruczó, ungherese di 30 anni, al suo secondo lungometraggio dopo Pleasant Days [+leggi anche:
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(Leopardo d'argento a Locarno nel 2002).

Prodotto da Viktòria Petrànyi (anche cosceneggiatrice) per Proton e Béla Tarr per T.T. Filmmühely e coprodotto da Philippe Bober con The Co-production Office e Mokép RT., Johanna è nato da un cortometraggio del 2003 del regista ed è molto liberamente ispirato al personaggio di Giovanna d'Arco. Personaggio cinematografico per eccellenza e per niente facile da affrontare, considerata la rinomanza dei registi che si sono cimentati con esso: Carl Theodor Dreyer, Robert Bresson, Roberto Rossellini, Victor Fleming, Jacques Rivette e di recente Luc Besson.

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Kornél Mundruczó ha schivato ogni confronto, impadronendosi del personaggio con una genialità inaspettata. Giovanna è riportata ai giorni nostri, ed è una junkie, una morfinomane che viene coinvolta in un grave incidente ed entra in coma. In ospedale viene miracolosamente risvegliata dai medici e dal quel momento comincia la sua corsa verso la passione e la morte: sempre accanto ai pazienti, offre il suo corpo ai più gravi e li guarisce, finche l'equipe dei medici, preoccupata per i suoi miracoli, non la uccide e la getta nelle fiamme di una discarica. Satira sociale? Divertimento colmo d'ingegno? La cosa più sorprendente per lo spettatore è che il film è tutto cantato, come un'opera. Anzi, un vero e proprio libretto e delle musiche operistiche sono stati composti per il film (l'autrice è Zsòfia Tallér).

Con l'aiuto della musica "alta", Mundruczó ha costruito delle immagini straordinarie, nei loro colori saturi (il verde e il giallo soprattutto), una regia da conoscitore profondo del cinema (i riferimenti sono soprattutto il primo espressionismo, Carl Dreyer, ma anche Abel Ferrara), tutto questo per raccontare come una parabola moderna la vicenda della Pulzella d'Orleans con finezza e soprattutto grande ironia. Lascia infine un ricordo indelebile la performance della protagonista, una evanescente e allo stesso tempo carnale Orsi Tòth, che si aggira invasata per le spettrali location scelte dal regista a Budapest: gli stanzoni di un ospedale psichiatrico del 19mo secolo e i cunicoli di un ospedale militare abbandonato.

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