Grandezze e miserie del sostegno all’audiovisivo
di Chantal Gras
Qual è la fonte ispiratrice per le decisioni dell'Unione europea nel sostegno all'industria cinematografica? La rivista internet "Objectif Cinéma" propone un interessante dossier sulle misure adottate per il commercio degli audiovisivi in Europa. Il giornalista Maxime DUDA, che ha raccolto cifre e dati da diverse fonti (Osservatorio europeo, Unesco, Wto, etc.), passa in rassegna gli obiettivi a volte contradditori, gli interessi spesso divergenti che hanno portato alla situazione odierna. Delle cifre forse già conosciute, ma che è utile ricordare!
Se le misure dell'Unione Europea hanno come obiettivo di permettere alle imprese audiovisive europee di trarre profitto dal mercato unico e di contribuire ad alimentarlo, esse sono sempre sottomesse alle forti tensioni interne tra gli stati membri e subiscono i colpi della scena internazionale: soprattutto da parte delle lobby del cinema americano, del Wto, del GATT (General Agreement on Trade and Tariffs) e dell'AMI (Accordo multilaterale dell'investimento), per i quali l'audiovisivo è una mercanzia come un'altra e non dovrebbe beneficiare di misure protezionistiche particolari adottate in nome della diversità culturale. Un concetto, quello dell'eccezione culturale, che non è condiviso da tutti i governi europei. In particolare dai paesi di tradizione anglosassone e dell'est, che tendono a rifiutare qualsiasi cosa che ricordi loro l'accentramento dello Stato, come ai tempi delle ideologie totalitarie. Tuttavia, attraverso le trattative con l'Unesco nel novembre 2001, la Francia, gran sostenitrice dell'eccezione culturale, ha potuto far votare la nozione di "difesa della diversità culturale" come principio filosofico e fondante l'Unione, e in questo contesto ha potuto mantenere l'eccezione culturale - con tutte le sue implicazioni di detassazione e di finanziamenti pubblici diretti all'industria - perché questa non appare più solo come una semplice "misura" facoltativa lasciata alla iniziativa dei singoli governi. Al livello dell'AMI, un nuovo progetto potrebbe rimettere in discussione l'impianto di protezione sui diritti d'autore , i diritti dei vicini e la difesa della proprietà intellettuale. Si impone quindi la massima cautela.
Nell'Unione Europea dei 25 sussiste una separazione tra i 5 grandi paesi "cinefili" (Francia, Italia, Spagna, Inghilterra, Germania) e gli altri con una minore produzione e un'area linguistica più ristretta (come la Grecia). Anche da questo deriva la grande difficoltà di far circolare le opere sul mercato unico europeo, anche se si constata una leggera crescita dei film europei non di casa nelle sale (oltre il 10% nel 1999 contro meno del 8% nel 1996). Quanto alla diffusione sulle reti televisive delle opere europee, la politica delle quote della Direttiva televisioni senza frontiere mira a una migliore visibilità. Ma in certi paesi questo ha provocato un aumento di volume dei film sul piccolo schermo a danno della frequentazione delle sale. Tuttavia, diminuire le quote, come alcuni vorrebbero oggi, sarebbe una catastrofe a medio termine per una buona circolazione del cinema europeo. Si può supporre che quello alla televisione non sia un passaggio obbligato perché, come si vede nei paesi "ricchi", sui canali così come in sala, la frequentazione ha la tendenza ad aumentare. Tra le ipotesi avanzate: la nascita di multiplex più confortevoli. Gli obiettivi europei prioritari sono di diminuire il gap con i nuovi stati membri Ue attraverso la formazione e il rinnovamento delle tecnologie. Lo posta in gioco con lo sviluppo tecnologico futuro è tale da giustificare l'accorpamento dei dipartimenti della Cultura e dell'audiovisivo con quello delle Nuove tecnologie. Lo studio rileva tuttavia la mancanza di coerenza politica in seno alla Commissione stessa, divisa tra l'azione culturale basata sull'articolo 151 del Trattato (che serve da base giuridica alle misure del programma MEDIA Plus) e il fatto che siano messi in discussione i meccanismi di sostegno nazionale (complementari a queste misure!) da altri funzionari, in base alle regole di concorrenza invocate in altre disposizioni del Trattato.
Lo studio analizza cifre e dati che sarebbe impossibile riportare qui. Niente di nuovo senza dubbio, ma il merito di questa analisi è di riunire i numeri con chiarezza. Ricordiamo solo alcuni dati: nei paesi europei che producono il maggior numero di film, come la Francia, dove la quota di mercato nazionale è la più alta (32%), il cinema made in USA continua a ritagliarsi una quota del 57% (62% in Italia, 72% in Spagna, 80% in Gran Bretagna e 89% in Polonia!).
La politica europea deve quindi essere più attenta e offensiva. Una delle debolezze strutturali del cinema europeo è la sua estrema frammentazione in piccole imprese (che spesso hanno solo uno o due progetti in cantiere!). Tuttavia, gli europei producono più film (un centinaio di più in media). Gli americani consacrano il 20% del budget di un film nelle spese di sviluppo (contro il 5% in Europa) e investono molto nella promozione. Per gli Stati Uniti l'audiovisivo è diventato il più vasto settore di esportazione. Quando toccherà all'Europa?
(Tradotto dal francese)
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