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La battaglia della concentrazione e della diversità culturale

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“Fare un film è un problema. Distribuirlo è un incubo”. E’ la constatazione lapidaria di Margaret Ménégoz, produttrice de Les Films du Losange nonché presidente della Commission d’agrément (una sorta di ufficio per le autorizzazioni) del Centro Nazionale di Cinematografia, riguardo all’altro versante delle difficoltà attuali del cinema francese. Sentimento condiviso da Alexis Dantec, ricercatore presso l’Osservatorio francese delle congiunture economiche, che ha puntato il dito contro la concentrazione crescente nei settori della distribuzione e dell’esercizio, le strategie di saturazione degli schermi (nel 1981 un film usciva in 200 copie, oggi con più di 800) e la drastica riduzione del periodo di tempo che un film resiste in sala.
Messi sotto accusa, gli esercenti scaricano responsabilità su distributori e produttori che scatenano una valanga ingestibile di copie nelle sale. E il settore della distribuzione, dal canto suo si giustifica mettendo in evidenza il fatto che il numero di film prodotti in un anno non riesce ad avere una giusta collocazione perché sempre crescente rispetto alle settimane a disposizione che ‘naturalmente’ continuano ad essere soltanto 52. Quel che è certo è che non c’è assolutamente intesa tra i vari settori anche se da più parti arrivano segnali propositivi per raggiungere la risoluzione del problema.
La concentrazione in corso nel mondo del cinema e dell’audiovisivo può generare sproporzionati rapporti di forza. Negli Stati Uniti le major e le loro filiali raccolgono il 90 per cento degli incassi di sala, mentre gli indipendenti distribuiscono 100 volte più film. Inoltre le reti televisive USA producono loro stesse il 92 per cento della loro programmazione (contro il 50 per cento di dieci anni fa) riducendo così i registi indipendenti a esercitare la loro diversità nell’anonimato.
Soprattutto l’integrazione verticale ha fatto reagire alcuni produttori francesi che hanno preteso un rafforzamento del diritto alla concorrenza, al fine di evitare gli abusi delle emittenti divenute insieme produttrici, distributrici ed esercenti.

Coscienti di queste importanti sfide, i cineasti presenti a Beaune, capitanati dalla presidente dell’ARP, Coline Serreau, hanno richiesto l’iscrizione del principio della diversità culturale nella futura Costituzione Europea. Hanno anche richiamato gli stati europei a essere più vigili per poter rifiutare ogni liberalizzazione del settore audiovisivo e cinematografico in occasione delle negoziazioni dell’OMC. Un appello, questo, alla mobilizzazione che echeggia come risposta volontaria alle voci pessimiste che, da tre giorni, si esprimono senza armonizzazioni.

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