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La libertà si chiama digitale

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Le soluzioni di questo problema sono state varie e diverse. Sul versante produttivo, è stata indicata da Balufu Bakuapa Kanyinda che con Afro@digital ha in qualche modo esposto una sorta di manifesto d’indipendenza del cinema africano: “per poter realizzare film indipendenti bisogna intraprendere nuovi percorsi. Il digitale è la terza rivoluzione del cinema, è la nuova frontiera per potersi esprimere liberamente senza essere costretti a fare compromessi”.
Più conciliante è stato Abderrahmane Sissako, autore di La vie sur la Terre, un mediometraggio commissionato dalla Francia che doveva rappresentare cinematograficamente il punto di vista di una popolazione africana al momento di passare nel terzo millennio. Un bel film che, evidentemente, non risente di particolari condizionamenti: “penso che un regista - ha rivendicato Sissako - debba essere considerato sempre in senso universale. Il mio punto di riferimento è Tarkovskij, un autore che in ogni film ha saputo aggiungere un elemento in più alla sua poetica. Non credo sia giusto parlare di un cinema che si corrompe a causa dei finanziamenti europei. Il fatto che la mia estetica sia mutata dipende da una motivazione personale. Lo stesso può valere per un altro grande regista del Mali come Souleymane Cissé che, certamente, non ha confezionato i suoi film in funzione del festival di Cannes. Cominciamo a considerarci come autori, forse le cose miglioreranno”.

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