Volver
di Carlo D'Ursi
- La storia di tre generazioni di donne che sopravvivono al vento, al fuoco, alla follia, alla superstizione e addirittura alla morte grazie alla bontà, alle bugie e a una vitalità senza limiti
Raimunda (Penélope Cruz), sposata con un operaio disoccupato e una figlia (Yohana Cobo); Sole (Lola Dueñas), sua sorella, che si guadagna da vivere come parrucchiera; e la loro madre (Carmen Maura), morta in un incendio, insieme a suo marito. Quest’ultimo personaggio appare prima alla sorella (Chus Lampreave) e poi a Sole, sebbene coloro con le quali la donna sembra avere dei conti in sospeso siano sua figlia Raimunda e la sua vicina Agustina (Blanca Portillo).
Dopo un dramma duro, che ruota attorno a personaggi maschili, Almodóvar torna alla commedia, con un’opera dolceamara in cui il riso porta spesso al pudore. È un Almodóvar più maturo, più sereno, circondato dai suoi gioielli più apprezzati, le sue attrici feticcio del passato e del presente, Carmen Maura e Penélope Cruz.
Volver è, prima di tutto, un film autobiografico, nel quale il regista ritrae con tenerezza alcune delle sue esperienze infantili, resuscitando i fantasmi e portandoli nel film. Volver parla di vita e morte, considerate come parti inscindibili, che si nutrono continuamente l’una dell’altra. Sebbene, davanti alla macchina da presa, le attrici la facciano da protagoniste, il film è la storia della famiglia di Almodóvar, della sorella e della madre scomparsa, resuscitata da un evidente complesso edipico, che cresce nel regista con l’avanzare dell’età.
L’amore di Almodóvar per i personaggi che dipinge sullo schermo è tangibile e- al di là dell’eccellente prova delle attrici – si percepisce, nella costruzione dei personaggi, una perfezione prossima all’isteria. Penelope Cruz torna al cinema spagnolo per mostrare il suo talento, dopo un periodo hollywoodiano ben più vuoto in termini di qualità dei personaggi. Carmen Maura, icona del cinema di casa, è la madre morta – ben più viva, comunque, di tutti gli altri personaggi – senza pudori e con la professionalità di un’attrice capace di riconquistare il regista che l’ha scoperta. Ed è importante anche dare il giusto risalto al miracolo di Blanca Portillo, nota al pubblico grazie alla televisione e al teatro, che ha saputo realizzare un vero ‘lifting del cuore’ per entrare nel personaggio di Agustina, donna single e sola che ha visto tutta la sua famiglia morire.
È un piacere vedere il ritorno di un genio dopo il grande sforzo per la creazione di un’opera che lascia lo spettatore incollato alla sedia, a domandarsi cosa sia successo, e per quale ragione, all’improvviso, i morti non sembrino così lontani, ma una guida, anzi, alla vita che avanza.
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