Eurovisioni 2002
di Eurovisioni
- Il Festival del Cinema e della Televisione si è concentrato sulle aspettative industriali dei nove Paesi candidati all’adesione dell’Unione Europea.
Eurovisioni, la manifestazione che si occupa specificatamente del mercato audiovisivo europeo e delle sue trasformazioni tecnologiche, culturali ed economiche si è svolta dal 20 al 22 ottobre scorso.
Nato per iniziativa di un gruppo di operatori dell’audiovisivo europeo, Eurovisioni è un festival è promosso dall’omonima associazione culturale coordinata da Bernard Miyet, che sostituirà alla presidenza Luciana Castellina. Insieme hanno accolto relatori e ospiti all’Accademia di Francia di Villa Medici dove si sono svolti incontri e discussioni sulla dimensione politica, economica e giuridica dell’Allargamento dell’Europa audiovisiva, argomento al centro del dibattito di quest'anno.
Riflettori puntati su uno studio comparativo del servizio pubblico televisivo nell’Europa Centrale e dell’Est oltre che sulle aspettative economiche dell’industria audiovisiva dei Paesi candidati all’adesione dell’Unione Europea, soprattutto sul potenziale economico dell’industria cinematografica nei Paesi dell’Europa centrale e dell’Est rispetto all'Europa Occidentale.
Per maggiori informazioni:
- Analisi comparativa dell’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo sugli aiuti pubblici al settore cinematografico e la situazione finanziaria delle imprese del settore;
- Relazione sullo stato della produzione televisiva in Europa;
- Relazione sulla distribuzione dei film di Paesi dell’Europa Centrale ed orientale, nell’Unione Europea.
La dimensione economica dell’allargamento
L’analisi del funzionamento economico dell’industria audiovisiva dei paesi candidati all'adesione all’Unione Europea che è stata sviluppata e discussa dai partecipanti a questo Laboratorio, sotto la presidenza di Michèle Cotta, presidente gruppo AB, con la partecipazioni di Walter Lerouge, Direttore di Eureka Audiovisuel e Joachim Ph. Wolff, vice direttore di MEDIA Salles, ha dato luogo alle seguenti raccomandazioni:
1. Vista la condizione di fragilità e sottofinanziamento delle strutture di produzione in questi Paesi, è assolutamente indispensabile proteggere e rinforzare i sistemi di sostegno esistenti nell’Unione Europea a livello regionale, nazionale ed europeo; di allargarne la copertura e l’accesso a quei nuovi membri dell’UE ; e crearne di nuovi e più efficaci laddove essi non esistano, nei limiti delle risorse disponibili.
2. L’altro motore economico del settore che bisogna rafforzare e rilanciare, è il servizio pubblico radio televisivo (di cui va soprattutto irrobustita la base finanziaria), che in tutti i Paesi candidati costituisce un partner primario della produzione audiovisiva nazionale e che può giocare un ruolo essenziale nel rapporto con i diversi pubblici nazionali, e quindi, in ultima analisi, nella soddisfazione della domanda di creazione di identità sul mercato nazionale;
3. Tuttavia, il quadro regolamentare del settore deve essere unitario e coerente (sia per il cinema che per la televisione, per le imprese pubbliche come per quelle private), specie per quanto riguarda i termini dei loro obblighi (che non debbono essere identici, ma equivalenti e proporzionati) di produzione e di contributo al sostegno dell’industria nazionale ed europea;
4. Sarà necessario che si stabilisca in tempo utile uno stato di fatto completo e trasparente dell’industria audiovisiva di ciascun Paese candidato, a cura degli organi competenti europei e nazionali (il questionario di base usato per questo laboratorio può definire il livello minimo della situazione in vigore in ciascun paese e gli stati di fatto), per permettere ai potenziali investitori, così come ai regolatori nazionali, europei ed internazionali (dai venture capitals alle banche, dalle Nazioni Unite alle Autorità nazionali) di prendere le loro decisioni con cognizione di causa;
5. La situazione specifica del mercato audiovisivo di ciascun Paese candidato dovrà essere presa in considerazione sia per la scelta delle misure più adatte al sostegno economico dell’industria nazionale, che nel campo della politica quanto, infine, in quello della regolamentazione e della concorrenza (tax shelter, controllo delle concentrazioni…)
6. Il modello europeo del “sistema misto” (pubblico—privato) nell’organizzazione del settore audiovisivo deve essere adattato e coniugato secondo i bisogni ed i rischi legati alla situazione particolare ed al clima economico di ciascun Paese candidato, prendendo come riferimento un serio bilancio ed analitico dei risultati e dei limiti prodotti da questo sistema dagli ultimi 20 anni di pratica maturata nei paesi membri dell’Unione Europea;
7. È prioritario favorire, con tutti i mezzi possibili, l’e delle opere del patrimonio dei paesi candidati agli schermi dell’Unione, attraverso tutte le forme di distribuzione (mercato delle sale, TV, on line, nuovi media) e viceversa, al fine di accelerare l’integrazione delle industrie audiovisive dei paesi candidati nel funzionamento del Mercato Unico, e opporre questi processi alla penetrazione molto determinata dell’industria americana sui loro mercati nazionali, in corso ormai da oltre un decennio;
8. Bisogna anche promuovere e favorire la migliore comprensione possibile dei differenti paesaggi nazionali di regolamentazione economica (obbiettivi, risorse, dispositivi) da parte dei professionisti e degli imprenditori di tutta l’Unione, in maniera da facilitare il loro spirito d’iniziativa su tutto il territorio europeo, come primo passo verso una futura armonizzazione delle regolamentazione;
9. Infine, una visione realista ed un principio concreto di graduazione devono ispirare le aspettative e le decisioni dei paesi candidati in rapporto ai loro investimenti tecnologici legati allo sviluppo digitale (sia esso terrestre, satellitare, che nelle applicazioni cinematografiche, etc.).
La dimensione giuridica dell’allargamento
Per il laboratorio giuridico, sotto la presidenza di Karol Jakubowicz ‘ presidente del Comitato Permanente per la Convenzione ‘Tv senza frontiere’ del Consiglio d’Europa, e capo della programmazione strategica della TVP, e con la partecipazione di Susanne Nikoltchev Esperto legale dell’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo, e
Krzysztof Wojciechwski, consigliere del Management della televisione polacca domandarsi se l’allargamento debba essere una ragione di entusiasmo o un motivo d’inquietudine, vuol dire prima di tutto rispondere a tre domande:
1. Come si presenta oggi la presa di coscienza del carattere comunitario in materia audio-visiva, nella legislazione dei paesi candidati ?
2. quali sono i problemi che sussistono, in particolare per conciliare le esigenze dell’adesione all’Unione Europea con gli obblighi imposti dall’adesione all’OCSE od all’ OMC - Organizzazione Mondiale del Commercio ?
3. Come saranno associati questi nuovi partner alla revisione della direttiva ‘TV senza frontiere’, e, più generalmente, alla elaborazione delle nuove direttive destinate a rispondere alle evoluzioni tecnologiche in corso?
Sulla prima domanda si potrà forse fare una constatazione. Tutti i paesi candidati hanno ormai introdotto nelle loro rispettive legislazioni la maggior parte delle regole europee. Al punto tale che la quasi totalità di loro sono già associati ai programmi di Media, o in posizione di esserlo.
Per dare una misura del cammino sin qui percorso, il polacco Krzysztof Wojciechowski a fatto rimarcare che tutti questi paesi venivano da lontano e anche prima di aderire al progetto audiovisivo europeo hanno avuto come primo obbiettivo non solo quello di ricreare le condizioni della democrazia, ma addirittura di far risorgere nei cittadini lo stesso bisogno di democrazia. Ed è in questo senso che vanno lette parole nuove in materia audiovisiva, quali il rapporto fra pluralismo e potere politico.
Nella maggioranza dei paesi dell’Europa centrale ed orientale, la presa di coscienza del carattere comunitario non è dunque iniziata col progetto di adesione all’Unione. È la meta del processo che era cominciato a livello nazionale con la preparazione dei primi testi regolamentari che riguardavano i media, in particolare con gli sforzi volti a costruire una televisione democratica e pluralista, ed a affermare il principio della libera circolazione dei programmi.
Questo processo è proseguito nel quadro del Consiglio d’Europa e attraverso i programmi di scambio e di co-produzione sviluppati in seno all’UER, Unione Europea di Radiodiffusione.
Oggi i principi europei in materia di diversità, pluralismo, e indipendenza dei media sono stati totalmente ripresi nelle leggi nazionali. Si può dire, con qualche sfumatura, la stessa cosa anche per quanto riguarda l’adozione delle regole della direttiva ‘TV senza frontiere’ che riguardano la pubblicità, le televendite, o in un altro ordine d’idee, la protezione dei minori, o la trasmissione in chiaro degli eventi nazionali di maggior importanza.
Due, invece, sono i punti dove l’allineamento con la pratica dell’Unione Europea è apparso più delicato:
la regolamentazione della protezione e della remunerazione degli autori, e soprattutto le questioni relative al posto da riservare alle opere nazionali ed europee nella politica di programmazione e produzione delle reti televisive dei paesi candidati.
Le legislazioni della maggioranza dei paesi candidati si sono trovate in effetti davanti a due problemi:
a) la reticenza a rimpiazzare le quote nazionali con delle quote europee, amplificata in numerosi paesi dalla debolezza del loro mercato interno;
b) la pressione degli Stati Uniti, esercitata attraverso organismi come l’OCSE e l’OMC, per non restringere la libertà di investire e commerciare nel settore audiovisivo.
Molti paesi oggi candidati all’adesione, avevano originariamente adottato una legislazione che apriva il loro mercato audiovisivo al libero accesso commerciale di investimenti e programmi stranieri, in maniera contraria ai principi posti dall’Unione Europea. Questo naturalmente ha posto dei seri problemi al momento di avviare il processo di adesione. La maggioranza dei paesi ha potuto rivedere la sua legislazione con l’aiuto della Commissione Europea, ma le difficoltà -specie per alcuni paesi- sussistono ancor oggi. È il caso, per esempio, dell’Ungheria che, essendo stato uno dei primi paesi ad imboccare la via della liberalizzazione economica, aveva già preso un certo numero d’impegni commerciali quali ad esempio (nella sua prima regolamentazione del settore delle comunicazioni) la regola che le trasmissioni di canali televisivi stranieri originate dal suo territorio non rientravano nel campo di competenza della regolamentazione audiovisiva nazionale, bensì in quello delle telecomunicazioni.
Ma l’argomento di gran lunga più sensibile allo stato attuale dei negoziati per l’adesione resta in ogni caso quello della definizione di cosa debba intendersi per produzione nazionale.
Due logiche si oppongono. La prima è quella d’impronta industriale che propende per una definizione intesa in senso ampio: tutta la produzione realizzata nel paese in questione o con i mezzi del paese in questione. L’altra, invece, ha un’impronta più culturale (ed assai più restrittiva), analoga a quella adottata dalla Commissione Europea, che adotta una definizione linguistica della produzione nazionale: è nazionale, cioè, una produzione realizzata nella lingua del paese in questione.
In effetti, la Commissione considera che lo sviluppo delle industrie nazionali dei programmi sia intimamente legata alle politiche nazionali di sostegno, ma che queste politiche debbano restare compatibili con la costruzione dello spazio audiovisivo europeo.
L’ultima questione riguarda la revisione e l’applicazione della direttiva ‘TV senza frontiere’ nei paesi candidati.
I partecipanti al laboratorio, dopo aver proceduto ad una lettura articolo per articolo del testo della Direttiva e dopo uno scambio di vedute estremamente aperto sulle revisioni da apportare al testo in vigore, sono stati unanimi nel riconoscere l’indispensabilità di associare i paesi candidati alla loro elaborazione e revisione, se si vuole che i nuovi paesi membri applichino i nuovi testi. Più essi saranno associati al lavoro di revisione attualmente in corso, più si rinforzerà la legittimità della legislazione europea.
In conclusione, i partecipanti ai lavori si sono posti la domanda se l’allargamento dell’Europa audiovisiva debba esser considerata una prospettiva entusiasmante o preoccupante. Secondo i giuristi, però, la domanda veramente non può esser posta in questi termini. L’eventualità di lasciare i mercati audiovisivi dei paesi dell’Europa centrale ed Orientale ai margini del Mercato europeo non è un servizio da render loro. Ma soprattutto non è un servizio da render ai paesi dell’Unione Europea dal momento che, con lo sviluppo dei satelliti, la ‘Televisione senza frontiere’ di cui parla la Direttiva comunitaria omonima, è ormai diventata una realtà da cui non si può più prescindere.
La dimensione politica dell’allargamento
L’atelier che ha analizzato la dimensione politica dell’allargamento, presieduto da Enzo Cheli presidente Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e che ha visto anche la partecipazione di Giuseppe Sangiorgi commissario Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è giunto alle seguenti conclusioni:
La televisione europea si trova oggi di fronte a due obbiettivi complementari:
1. l’allargamento dell’Europa audio-visiva ai nuovi 10 paesi candidati
2. l’arrivo della televisione digitale.
In questo quadro audiovisivo in costante mutamento, la presenza di una televisione di servizio pubblico forte è una garanzia essenziale:
a) per il mantenimento del pluralismo audiovisivo
b)per la diversità culturale.
Il moltiplicarsi delle operazioni di fusione e acquisizione tra gli operatori commerciali minaccia a termine la pluralità degli operatori.
Di fronte agli operatori commerciali che per massimizzare i loro profitti hanno tendenza a minimizzare gli investimenti nella produzione, gli operatori del servizio pubblico devono massimizzare il servizio reso ai telespettatori “cittadini”, assicurando loro un’offerta diversificata di programmi di qualità adempiendo cosi’ alla loro missione di servizio pubblico.
Il sistema radiotelevisivo misto (pubblico + privato) che è caratteristico dell’Europa Occidentale s’iscrive in questa logica. I poteri pubblici nazionali e comunitari sono attualmente impegnati a realizzare un quadro politico conseguente a questa dualità del sistema, atto a garantirne l’equilibrio. Ma questo equilibrio può essere minacciato dall’introduzione della televisione digitale se non si fissano le regole giuste per il nuovo mercato. Spetta ai Politici predisporre un quadro giuridico ed economico adatto al nuovo ambiente digitale.
All’interno dei Paesi candidati dell’Europa Centrale e dell’Est candidati all’adesione, il processo legislativo dell’ultimo decennio ha permesso di dar vita ad un quadro giuridico favorevole al pluralismo dei media audio-visivi, ma ciononostante l’equilibrio tra televisione di servizio pubblico e televisione commerciale resta ancora molto fragile:
a)le televisioni pubbliche di questi paesi restano ancora marcate da quasi mezzo secolo di monopolio politico;
b) la ridotta dimensione dei mercati nazionali non permette di liberare risorse sufficienti per finanziare una produzione originale di qualità
Questa eredità istituzionale, che si traduce in un deficit di legittimità delle televisioni pubbliche, e questi limiti economici, che poco invogliano gli investitori nazionali, hanno facilitato all’Est la nascita di reti radiotelevisive commerciali controllate da gruppi multinazionali, spesso nordamericani.
Per porre rimedio a questi handicap essenziali conviene:
1. assicurare trasparenza nelle relazioni tra il potere politico e la televisione qualsiasi televisione partecipi alla vita dei cittadini di un paese fa’ politica. Conviene allora liberarla dall’arbitrio del potere politico senza però tagliarla fuori dalla politica, assicurando in essa almeno un trattamento oggettivo dell’informazione. Questa trasparenza può essere assicurata da Autorità di controllo, l’indipendenza delle quali deve essere assicurata dal legislatore e dal potere giudiziario.
2. assicurare un finanziamento sufficiente e perenne agli operatori della televisione del servizio pubblico affinchè questi siano in grado di offrire il meglio ai loro telespettatori, particolarmente nello sviluppare la produzione nazionale e/o regionale. Di fronte ai rischi di frammentazione dell’offerta e dell’audience, la cooperazione internazionale deve ugualmente permettere alle televisioni europee di servizio pubblico di costruire delle offerte federative che riflettano la diversità delle identità nazionali.
Nel nuovo equilibrio audio-visivo della “Grande Europa” dell’era digitale, spetta ai politici garantire il pluralismo dei media e la diversità culturale della loro offerta di programmi. A questo fine è essenziale, nel contesto del passaggio al digitale, garantire la presenza diversificata delle televisioni di servizio pubblico su tutti i mezzi di diffusione. A partire dal principio che la comunicazione, in particolare quella audio-visiva, dovrà essere uno dei pilastri della costruzione futura Europa allargata.
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