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PRODUZIONE Italia

In Africa Dio è morto. O forse è malato

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A diciannove anni da Modì, la biografia televisiva di Modigliani distribuita anche nei cinema francesi, Franco Brogi Taviani torna sul grande schermo con il documentario Forse Dio è malato: un viaggio nelle tragedie del continente africano (girato, non senza difficoltà, in Angola, Camerun, Mozambico, Senegal, Sudafrica e Uganda), liberamente ispirato all’omonimo libro di Walter Veltroni, ex sindaco di Roma e candidato premier alle prossime elezioni.

A chi pensa di aver letto (e visto) tutto, il film offre lo spaccato di una realtà multiforme, e in parte inedita: se l’epidemia di Aids, come la vita di stenti nelle discariche a cielo aperto, sono piaghe che indignano ma non stupiscono, lo stesso non si può dire del numero crescente di bambini accusati in Angola di stregoneria, e per questo abbandonati o uccisi dalle proprie famiglie.

Niente voce fuori campo, e nessuna didascalia esplicativa, per un film che il regista voleva “dotato di una struttura drammaturgica e poetica: un obiettivo raggiunto anche grazie alle musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia, scritte insieme al senegalese Badara Seck e poi cantate da una giovanissima interprete sudafricana, Siya Makuzeni”.

A produrre Forse Dio è malato è stata la Ager 3 di Grazia Volpi, vero motore del progetto. “È stata lei a convincermi, la sua passione mi ha fatto superare le mie paure”, spiega Franco Brogi Taviani, che del libro di Veltroni ricorda soprattutto una frase: “in Africa l’obiettivo non è essere felici, ma sopravvivere. Ma è una guerra. E l’Africa può perderla, per sempre”.

Costato 700mila euro, il documentario ha potuto contare sul sostegno del MiBAC, del Ministero degli Affari Esteri e di numerose organizzazioni non governative: in Italia sarà distribuito il 29 febbraio dall’Istituto Luce, in 6 copie.

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