email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

IDFA 2024

Recensione: A Fidai Film

di 

- Kamal Aljafari manipola e riassembla immagini dell’archivio del Palestine Research Center, sequestrato da Israele nel 1982, evidenziandone l’uso propagandistico compiuto dallo stato israeliano

Recensione: A Fidai Film

Ci sono molti modi di fare un film sulla Palestina, alcuni sono molto radicali. È il caso di A Fidai Film [+leggi anche:
intervista: Kamal Aljafari
scheda film
]
di Kamal Aljafari, presente nella sezione Signed dell’IDFA dopo avere vinto il premio al miglior film nella sezione Burning Lights del Visions du Réel, che ha come metodo principale il montaggio. Le immagini montate sono quelle che provengono dall’archivio del Palestine Research Center, di stanza a Beirut fino al 1982, quando venne sequestrato dall’esercito israeliano. Aljafari riesce in maniera avventurosa recuperare alcuni materiali dell'archivio, tutt’ora in mani israeliane, e ad assemblarli in modo da raccontare una storia della Palestina che appartenga al popolo palestinese, evidenziando come lo stato israeliano abbia fatto un utilizzo distorto di queste immagini, adattandole a fini propagandistici. Questa gabbia di significato viene scardinata da A Fidai Film, che già dal titolo si propone come un film di resistenza e di lotta (fidāʾī significa “colui che si sacrifica” oltre che essere il titolo dell’inno nazionale palestinese).

Oltre all’uso concettuale del montaggio, Aljafari manipola le immagini, sperimentando con colpi di materia di una grondante tinta rossa che ne denotano la violenza, cancellando le scritte sovraimposte dall’esercito israeliano, con una scelta artistica che mira ad essere soprattutto un atto di giustizia. La formula utilizzata per descrivere questa operazione è “La cinepresa degli espropriati”, con la quale il regista allude all’importanza e al diritto del popolo palestinese ad avere una propria visione della storia, che non sia riscritta dall’autorità israeliana e dai media occidentali. E fra le immagini più incredibili che si possano vedere nel film di Aljafari ci sono proprio quelle dei soldati israeliani che documentano il sequestro dell’archivio nella Beirut occupata dei primi anni ottanta. Considerando l’archivio come bottino di guerra, l’operazione di Kamal Aljafari consistente nel restituire in qualche modo le immagini alla comunità palestinese a cui appartengono.

E quindi vediamo scorrere sullo schermo sia immagini girate dalle autorità palestinesi, come quelle che si preoccupano di denunciare la condizione dei rifugiati nei campi, sia immagini girate dalle autorità occupanti, tra i quali l’esercito britannico, per documentare con sguardo coloniale la nuova terra di conquista. Uno sguardo che già veniva denunciato da Edward Said nel celebre saggio Orientalismo pubblicato nel 1978, che si occupava di analizzare le modalità con le quali l’Europa mostrava quello che veniva chiamato Oriente (ma oggi potremmo dire “il Medio Oriente”).

Alle manipolazioni del materiale d’archivio, Aljafari affianca il paesaggio sonoro concepito da Attila Faravelli e la musica composta da Simon-Fisher Turner, elementi che assieme al montaggio contribuiscono a sovvertire il significato delle immagini, a liberarle. In questo senso A Fidai Film è una testimonianza importante del contro-potere delle immagini, sul quale Aljafari aveva già meditato col precedente Recollection riscrivendo a suo modo la storia del cinema israeliano, e di come si possa ricostruire la memoria di un intero popolo e di come questo abbia il diritto a rappresentarsi, ad esistere.

A Fidai Film è stato prodotto da Kamal Aljafari Production che si occupa anche della distribuzione e vendite.

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy