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Una Palma dovuta

di 

- Vincitori e vinti di questa 55ma edizione del Festival di Cannes. La qualità dei film ha reso più difficile la scelta della Giuria

Qualcuno ricorderà la scena de I vitelloni, in cui la compagnia di guitti sbarcata a Rimini, a evitare il fiasco, intona una vecchia canzone patriottica della prima guerra mondiale: «O Trieste, o Trieste del mio cuore...». La canzone era tornata popolare nel secondo dopoguerra, quando non era ancora detto che la città giuliana tornasse all´Italia. Perciò la usavano le compagnie d´arte varia, che battevano la provincia, quando lo spettacolo volgeva al peggio. Invocavi Trieste e l´applauso a questo punto era assicurato.
Non voglio mancare di rispetto verso Il pianista di Polanski, un film per molti versi assai degno. Tuttavia la Palma d´Oro che gli è stata attribuita, mi ha ricordato maledettamente quella scena del film di Fellini. Come si poteva ignorare un megafilm di regista illustre sul tema dell´Olocausto? E chi avrebbe avuto il coraggio di disapprovarlo? Oltretutto la giuria aveva da farsi perdonare il premio dato al film palestinese Intervento divino di Elia Suleiman, che non è solo divertente per le molte scene «alla Tati», sparse qua e là nel corso della vicenda: è anche un film che sbeffeggia i soldati d´Israele di stanza ai posti di blocco e non spende una parola per condannare il terrorismo.
Detto questo, bisogna anche aggiungere che il compito della giuria non era affatto facile. Di film d´alta qualità, ce n´erano parecchi, e difficilmente paragonabili. Il coraggio, la giuria l´ha mostrato nel premiare gli attori: pur avendo parecchie star a disposizione, è andata a scegliere due bravissimi nessuno, noti solo a uno sparuto gruppo di cinéphiles, il belga Olivier Gourmet dello splendido film dei Dardenne, Le fils, e la finnica Kati Outinen, attrice-feticcio di Aki Kaurismäki, il cui film, L´uomo senza passato, è stato il beniamino del festival, così come lo era stato tre anni fa l´almodovariano Tutto su mia madre, quando la Palma d´Oro andò invece a Rosetta dei Dardenne.
Va aggiunto che non bisogna lasciarsi ipnotizzare dalle premiazioni. L´anno scorso, per esempio, a prima vista parve che tutto si fosse risolto in un duello a due tra La stanza del figlio e La pianista di Hanecke, finito con la vittoria sul filo del traguardo del film di Moretti. Poi ci si accorse che c´erano per lo meno altri sei-sette film, che avrebbero meritato la stessa attenzione. Perciò guardiamoci dal concentrare stavolta tutta l´attenzione sul duello tra Polanski e Kaurismäki. Intanto si può dire che Cannes ha segnato quest´anno il trionfo del digitale, che appare sempre più un mezzo tecnico capace di rivoluzionare il linguaggio del cinema, non solo in chiave fantastica come nell´Episodio II di Star Wars, o in chiave rievocativa, come ne L´arca russa di Sokurov, altro film di fortissimo spessore, ignorato dalla giuria, ma anche in chiave di verosimiglianza documentaristica, come nelle lunghe sequenze finali de Il pianista dove le immagini virtuali del ghetto di Varsavia distrutto sembrano girate dal vero a Grozny o in qualche altra parte del globo dove divampa una guerra altrettanto catastrofica di quella cecena.
Quanto a L´ora di religione, altro grande film ignorato dalla giuria, dopo aver messo per la prima volta d´accordo le due più importanti riviste di cinema francesi, i Cahiers du Cinéma e Positif, si è preso un´altra incredibile soddisfazione: quella di essere «segnalato» dall´O.C.I.C. (l´organizzazione cattolica internazionale del cinema) in rotta di collisione, come alle volte accade, con i giudizi dell´Osservatore romano e del nostro Centro Cattolico Cinematografico, che lo aveva giudicato «fuorviante», oltreché «negativo».

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