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Registi

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- Con Hollywood Ending Allen apre fuori concorso il Festival di Cannes. L'opinione di Callisto Cosulich sul più europeo tra gli autori a stelle e strisce

«Arrivato al suo sesto film come autore completo, non si può che ammirare un comico, che tentato dallo sfruttamento intensivo dei suoi temi, li domina così bene da introdurvi, senza violenza né timidezza, una grazia nuova e rara». Così si esprimeva su Woody Allen Positif nel novembre del 1977 all'uscita parigina di Io e Annie. Mi sarei ben guardato dallo scegliere questo elogio, tra i mille che hanno accompagnato il film che ha permesso ad Allen di entrare nei piani alti del condominio degli autori, se, a scriverlo, non fosse stato Emmanuel Carrère. Curiosa coincidenza: oggi, a distanza di 25 anni da quell´evento, Allen presenta a Cannes il suo trentatreesimo film, mentre Carrère è l´autore dello straordinario libro - inchiesta L´avversario, che ha ispirato a Nicole Garcia, la pellicola più gettonata delle quattro che corrono in competizione sotto la bandiera francese. Curiosa e significativa coincidenza, poiché in un certo senso suggella con le nozze d´argento il matrimonio che l´Europa e i suoi festival celebrarono nel 1977 con il comico di Manhattan.
Io e Annie rappresentò per Allen una svolta in tutti i sensi: da quel momento cominciarono a calare le sue fortune americane e nel contempo a crescere le sue fortune europee. Vediamo la monografia che Giannalberto Bendazzi gli dedicò nel 1976. Dalla bibliografia allegata al testo si riscontra che, sino a quel momento, libri e saggi su Allen erano tutti di origine americana. In Francia fino allora non aveva suscitato alcun interesse, così come in Gran Bretagna. In Italia esistevano solo alcuni testi di carattere puramente informativo. Stupiva sopratutto l'indifferenza della critica francese, dove operavano i più dotti esperti di cinema comico. Eppure la Francia stravedeva per Jerry Lewis, il quale, tra l´altro, aveva segnalato Allen ai suoi amici parigini, preconizzandogli un brillante futuro.
Da Io e Annie in poi, tutto cambia. Di là e di qua dell´Atlantico le parti si invertono. Quale fosse il motivo per cui critici e spettatori europei, nonché i direttori dei festival europei, s´innamorarono di Allen, è facile immaginare. Meno si comprende il progressivo distacco da lui degli spettatori e poi anche dei critici statunitensi. Una spiegazione potrebbe essere data dal fatto che Allen è nato e cresciuto in quanto autore, oltrechè attore, negli anni Settanta, allorché Hollywood amava strizzare l´occhio al cinema europeo. Era il tempo in cui le Major avevano cessato di rivolgersi unicamente al cosiddetto grande pubblico. Preferivano dividere il pubblico in tre fette distinte (quello metropolitano, quello provinciale, quello straniero) e a ciascuna di esse fornire un prodotto diverso. Poi le strategie mutarono. Hollywood ricominciò a fare la corte al grande pubblico, individuandolo nello spettatore che denunciava l´età media di tredici anni.
Allen, invece, si rivolgeva a un pubblico più maturo, per forza di cose minoritario. Se ha continuato a sfornare un film all´anno, lo deve soprattutto al perenne successo ottenuto in Europa. È il successo europeo che gli ha consentito di godere negli Usa di quel tanto di autorità in grado di mantenerlo padrone assoluto della propria opera, di scegliere i collaboratori tecnici che meglio gradiva, di trovare star da milioni di dollari a posa, disposte per lui ad accettare le tariffe sindacali. E solo grazie a queste condizioni il pubblico europeo ha avuto il beneficio del film annuale di Allen, gradito come si gradisce il regalo di Natale o per il proprio compleanno.
Cosa è rimasto della Hollywood degli anni Settanta, di quella indimenticabile stagione del cinema statunitense, che pareva stesse per riuscire a cambiare le regole del gioco delle stesse Major? Dei cinquanta e più cineasti che in quell´epoca diedero a Hollywood e dintorni una sorprendente sterzata verso il cinema d´autore, alcuni sono passati a miglior vita, altri sono andati in pensione o scomparsi nel nulla, altri ancora sono retrocessi nella produzione di serie B, o si sono adattati alla routine televisiva, o si difendono come possono, rinunciando gradatamente alla loro iniziale personalità; altri infine si sono trasferiti in Europa, un po´ per amore (James Ivory), talvolta costretti (è il caso di Polansky). L´ultimo di questo gruppo sembra essere Brian De Palma, che presenta a Cannes Femme fatale, girato a Cannes per un produttore francese. Restano in sella l´intramontabile Altman, i potenti Coppola e Lucas, nonché Martin Scorsese che, anzi, col tempo ha aumentato il proprio carisma. Eppoi c´è Spielberg, il nuovo re del cinema statunitense, per la cui Dreamworks Woody Allen, l´altro superstite, ha preso da un po´ di tempo a lavorare. Spielberg non pare il tipo disposto ad accontentarsi di un successo limitato all´Europa. C´è la farà a riportare Woody Allen agli onori americani? E a quale prezzo per il Nostro? Per ora Woody continua ad avvalersi dei festival europei (Cannes o Venezia non importa) per fare breccia sul nostro continente, mentre sul mercato statunitense rimane un autore «di nicchia», come si suol dire. Il futuro non si sa se rimarrà nelle mani sue, oppure se passerà a quelle di Spielberg. Semprechè lui continui ancora a regalarci un film all´anno, senza vuotare il magazzino delle proprie storie.

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