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STOCCOLMA 2024

Costa-Gavras • Regista di Last Breath

“Cosa farei se non facessi film?”

di 

- A 91 anni, lo stimato regista greco-francese è ancora in piena attività e ha appena ritirato il premio alla carriera del Festival di Stoccolma

Costa-Gavras • Regista di Last Breath
(© Dario Caruso/Cineuropa)

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al 72mo Festival internazionale del cinema di San Sebastian, il regista greco-francese Konstantinos “Kostas” Gavras porta il suo nuovo lavoro alla 35ma edizione del Festival internazionale del cinema di Stoccolma. Conosciuto e apprezzato nel mondo del cinema semplicemente come Costa-Gavras, il resiliente cineasta 91enne, autore di titoli come Z - L’orgia del potere, Missing - Scomparso e Music Box - Prova d’accusa, ha ricevuto quest'anno il premio alla carriera a Stoccolma e sembra notevolmente soddisfatto di essere premiato in quella che definisce “una terra di cinema unica”.

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a Venezia e ha ricevuto contemporaneamente il premio Glory to the Filmmaker. Ora siamo a Stoccolma e lo scenario è in qualche modo simile: un nuovo lavoro, un nuovo premio alla carriera. Oggi lavora per necessità o solo quando una storia la spinge a farlo?
Costa-Gavras:
Entrambe le cose. Cosa farei se non facessi film? Ma dopo una certa età è più difficile. Non c'è niente di sbagliato nell'immaginazione o nel metodo, ma un film ha bisogno di energia da parte del regista; deve sempre esserci sul set, per tutti. A una certa età, è difficile alzarsi ogni mattina alle 6 ed essere in continuo movimento per tutto il giorno.

L'anno scorso è stato pubblicato in Francia il libro Le dernier souffle: Accompagner la fin de vie (lett. L'ultimo respiro. Accompagnare la fine della vita) di Régis Debray e Claude Grange. Cosa l'ha spinta ad adattarlo?
Régis Debray, che è un mio amico, mi ha inviato il libro. Alla mia età, da qualche anno, penso di tanto in tanto alla fine; sono arrivato al punto in cui si sta avvicinando. Tanti amici intorno a me stanno morendo, sono l'unico rimasto dai tempi di Z, dopo che Jacques Perrin se n'è andato nel 2022. Così, stavo pensando a come finiranno le cose, sperando in una situazione “bella”, senza sofferenze ma con dignità. Il libro parlava di queste cose e ho deciso di adattarlo.

La sinossi lo definisce “un balletto poetico”, che è una descrizione intrigante...
Sì! È proprio così che spero di averlo fatto.

Il suo cast è impressionante, con talenti come Ángela Molina, Hiam Abbas e Charlotte Rampling, per citare qualche nome, alcuni in parti piccole ma potenti. Alcuni di loro sono anche suoi vecchi amici?
Alcuni sì, altri non li conoscevo. Ma Charlotte la conoscevo e sono andato da lei. “Ho qui la parte più piccola della tua carriera. Ti piacerebbe leggerla?”. “Certamente”, mi rispose. E ha voluto farlo, con mia grande sorpresa e gioia. La cosa sorprendente è che, mentre scrivevo la sceneggiatura, mi è capitato di vedere la sua foto in una rivista recente e ho usato quella foto come ispirazione per il personaggio che avrebbe interpretato.

Sta progettando già un nuovo film?
Lo sto facendo [ride].

Le rimane ancora qualche anno per raggiungere l’età di Manoel de Oliveira.
Ah, sì. Come forse sa, sono il presidente della Cinémathèque Française e l'abbiamo invitato quando ha compiuto 100 anni; aveva appena fatto un film. Gli ho detto: “Ci vediamo tra un anno, Manoel”, e l'anno dopo è tornato, con un altro film. Non mi ci vedo proprio a “batterlo”, però.

Lui ha sempre detto che il suo anno cinematografico preferito era il 1927-28, l’anno di Aurora, La passione di Giovanna D’Arco e Napoleone.  Qual è il suo periodo preferito?
Ha ragione, sai. Abbiamo restaurato di recente Napoleone alla Cinémathèque, ed è ancora straordinario. Il mio periodo migliore è stato a Parigi a metà degli anni '50, quando ho scoperto un altro tipo di cinema: i film americani di Elia Kazan; quelli italiani, che erano un piacere da guardare e allo stesso tempo parlavano della società; quelli francesi, che si stavano trasformando nella Nouvelle Vague; e anche il cinema svedese e nordico, un tipo di cinema diverso e sorprendente che i piccoli paesi sapevano fare. Era unico. La Nouvelle Vague ha imparato così tanto da registi come Bergman e altri.

Finora ha diretto 20 lungometraggi. Il suo grande "successo" è ancora Z, ricordato e toccante ancora oggi. Di cosa è più orgoglioso della sua filmografia?
Hannah K., sul conflitto Israele-Palestina, è diventato importante per me, soprattutto perché l’ho fatto allora, nel 1983. Dice qualcosa che è ancora attuale. Altrimenti, preferisco quando sono gli altri a raccontarmi i loro incontri con i miei film. O anche quando li cantano. Di recente ho cenato con un regista iraniano, Nader Saeivar, che all'improvviso ha intonato il tema di Z. Mi ha commosso profondamente.

(Tradotto dall'inglese)

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