Recensione: Las toreras
- Nel suo primo lungometraggio, Jackie Brutsche indaga il suo doloroso passato familiare alla ricerca di risposte che possano aiutarla a capire il gesto estremo compiuto da sua madre

Già selezionato nel 2021 nella sezione First Look del Locarno Film Festival dedicata ai film in post produzione e recentemente ricompensato allo Zurich Film Festival con l’Emerging Swiss Talent Award e il Zurich Church Film Award, Las toreras [+leggi anche:
trailer
scheda film] utilizza il mezzo filmico per parlare dell’impensabile e provare a guarire ferite profonde.
Jackie Brutsche, nata a Zurigo da padre svizzero e madre spagnola, è un’artista a tutto tondo, al contempo cineasta, artista visiva, performer e musicista. Questa pluridisciplinarità impregna il suo film documentario che mischia in modo audace e rinfrescante fotografie di un’infanzia marcata da numerose zone d’ombra, testimonianze famigliari contrastanti, frammenti di lettere e diari appartenuti a sua madre e immagini fittizie dal sapore dadaista. In queste ultime, la regista mette in scena Jack Torera, il suo alter ego artistico, mentre vaga fra le strade deserte di una cittadina abitata solo da una ragazza che indossa un’inquietante maschera bianca e mentre si confronta con un mostro di cartapesta che vive tra le dune del deserto. I due universi: quello, tutto da ricostruire, di sua madre che ha sofferto per lunghi anni di problemi psichici e quello fittizio di una torera forte ma anche spaventata da quello che scopre nel suo pellegrinaggio, coabitano nel film in modo sorprendentemente coerente.
Al contempo figlia ed artista, personaggio della storia che racconta e fine investigatrice, Jackie Brutsche ha saputo far coabitare nel suo film le verità di ognuno per ricostruire un puzzle complesso come complessa è la malattia di cui sua madre ha sofferto. Se per gli zii e le zie che vivono tuttora in Spagna la causa del suo suicidio è da ricondurre al marito/padre e all’austera Svizzera che sembra averla imprigionata, per quest’ultimo, lui stesso psicoanalista, la malattia è la sola causa del dolore di sua moglie. Ascoltando i punti di vista di tutti, chi ha vissuto la situazione da lontano (la famiglia in Spagna) e chi da vicino (il padre, il fratello e gli zii della regista), ma soprattutto dando voce, attraverso le sue lettere, i suoi diari e i suoi disegni, a sua madre, al suo disagio e al suo dolore, la regista affronta con coraggio un passato che i membri della famiglia hanno sempre cercato di seppellire, per non soffrire, per non sentirsi colpevoli. La maschera bianca che indossa il misterioso personaggio messo in scena nel film rivela allora la fatica che ogni persona che soffre di problemi psichici fa per incarnare un ruolo sociale che non sente suo, che la soffoca. Un disagio ancora più grande per chi, identificato come donna, si vede attribuire solo ruoli secondari.
L’arte, ben più delle parole che si sono rivelate inutili, riesce nell’intento di chiarire i malintesi che oppongono le due famiglie sin dalla morte della mamma della regista. Senza giudicare, ascoltando in modo paziente, Jack Torera dà la forza a Jackie la regista di porre domande scomode che possono mettere in pericolo un equilibrio famigliare ancora fragile. Catartico, sensibile ma anche estremamente rock, Las toreras mette in avanti la capacità dell’arte di curare anche le ferite più profonde.
Las toreras è prodotto da Recycled TV AG, Reck Filmproduktion e SRF Schweizer Radio und Fernsehen.
Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.