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SOLETTA 2024

Recensione: La scomparsa di Bruno Bréguet

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- Il documentario di Olmo Cerri riporta alla luce una storia tanto incredibile quanto scomoda che riassume le contraddizioni legate alle rivolte giovanili della fine degli anni Sessanta

Recensione: La scomparsa di Bruno Bréguet

Presentato in prima mondiale alle Giornate di Soletta, dove compete per il premio Visioni, La scomparsa di Bruno Bréguet, il nuovo documentario del regista ticinese Olmo Cerri racconta la storia di un liceale apparentemente come tanti altri diventato un vero e proprio rivoluzionario pronto a tutto per difendere i suoi ideali. Figlio del Sessantotto, il luganese Bruno Bréguet abbraccia con tutto sé stesso uno spirito giovanile, ribelle e contestatario, che gli calza a pennello. Sebbene anche nella pacifica Svizzera fossero molti, sin dal famoso 1968, a schierarsi contro istituzioni e mentalità nelle quali non si riconoscevano più, nessuno però ha osato spingersi fin dove si è spinto Bréguet. È questa intransigenza, il gettare il famoso spirito di diplomazia svizzero dalla finestra, che il film mette in scena cercando di capire le ragioni che possono aver spinto un giovane ticinese a percorrere una strada così tortuosa.

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La storia, al contempo affascinante e sconvolgente di Bruno Bréguet comincia nel 1970 quando, giovane universitario di vent’anni, è arrestato mentre tenta di entrare in Israele con del materiale esplosivo. Una mossa azzardata in nome della causa palestinese che gli costa la condanna a sette anni di prigione nelle carceri israeliane. È proprio durante la detenzione, marcata da torture fisiche e psicologiche, che si radicalizza, che la sua rabbia nei confronti dell’ingiustizia sociale vissuta dal popolo palestinese si trasforma in rivendicazione esistenziale. Dal suo rilascio, e prima della sua misteriosa scomparsa, nel 1995, su un traghetto che dall’Italia conduce i passeggeri in Grecia, Bruno Bréguet è coinvolto in diversi attentati, è incarcerato in Francia ma soprattutto si unisce al controverso gruppo del terrorista Carlos.

Dopo un primo clamore mediatico, Bréguet scompare letteralmente dai radar lasciando molte domande senza risposta. Per ricostruire la sua storia, il regista si è appoggiato sul libro autobiografico La scuola dell’odio, di cui legge alcuni estratti, e soprattutto sulle testimonianze di chi l’ha conosciuto e ne è stato amico. Attraverso i loro racconti, ciò che si delinea non è soltanto la personalità misteriosa e complessa di Bréguet ma soprattutto lo spirito di un’epoca marcata da un bisogno viscerale di libertà e verità.

Sebbene il loro amico comune abbia intrapreso un cammino ben diverso dal loro abbandonando un pacifismo profondamente radicato nei giovani di quel periodo, ciò che nessun conoscente o amico di Bréguet si sente di fare (la famiglia ha preferito non partecipare al film) è giudicare le sue scelte. In un momento storico così tragico come quello che stiamo vivendo, i quesiti che la storia del giovane ticinese solleva risuonano ancora con maggiore forza. Fino dove ci si può spingere per difendere i propri ideali di uguaglianza e giustizia sociale? Quanto vale la non violenza per cloro che vivono costantemente nel terrore, schiacciati e umiliati?

Al di là dell’incredibile storia di Bruno Bréguet, è proprio su questi quesiti che il film, con l’ausilio di chi ha vissuto il nascere dei movimenti giovanili, riflette. Nei loro racconti, pudici e ancora pieni d’emozione, si percepisce la difficoltà di conciliare ideologia e radicalità, sogni e concretezza. Ricco di un sottotesto oscuro fatto di non detti e di frasi difficili da formulare, il film apre il dibattito sulle possibilità concrete che abbiamo, oggi, di influenzare e perché no trasformare la società nella quale viviamo.

La scomparsa di Bruno Bréguet da Dschoint Ventschr Filmproduktion, SRF Schweizer Radio und Fernsehen e l’Associazione REC.

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