Recensione: My Swiss Army
- Il primo lungometraggio di Luka Popadić ritrae tre ufficiali svizzeri d’origine serba, srilankese e tunisina alle prese con una doppia identità che li rende unici

Presentato in prima mondiale alle Giornate di Soletta dove compete per il Prix du public, My Swiss Army del regista svizzero d’origine serba Luka Popadić riflette, partendo da un soggetto fortemente identitario come quello dell’esercito, sul concetto di multiculturalismo. Lui stesso figlio di immigrati, il regista, già conosciuto per i suoi cortometraggi che hanno fatto il giro di molti festival internazionali, parte dalla sua esperienza personale di “regista serbo e ufficiale svizzero”, come lui stesso si definisce, per cercare di capire cosa spinge molti cittadini binazionali ad arruolarsi. Come mai, a differenza di un numero cospicuo di giovani svizzeri, questi si sentono attratti dal mondo iper organizzato dell’esercito? E se quello che per tanti è percepito come un obbligo si trasformasse invece in privilegio, nella possibilità di prendersi una rivincita su una società non sempre disposa ad accettare ciò che si scosta dalla norma? Con molta sensibilità e una buona dose d’umorismo, il regista cerca di rispondere a queste domande e a molte altre ancora.
Gli ufficiali svizzeri Saâd, Thuruban e Andrija hanno tutti mantenuto un legame forte con le loro origini famigliari, rispettivamente tunisine, srilankesi e serbe, eppure questo non gli ha impedito di lanciarsi nella carriera militare. A controcorrente di un movimento antimilitarista sempre più forte, i tre protagonisti del film hanno abbracciato un mondo che più svizzero non si può, fatto di ordine maniacale e rispetto assoluto delle regole. Per capire le loro motivazioni, Luka Popadić ascolta con molta empatia i loro discorsi, ne filma il quotidiano mettendo in avanti la ricchezza di un multiculturalismo che sfida tutti i pregiudizi sulla così detta integrazione e su cosa la parola “patria” voglia davvero dire. Come dice in modo assolutamente spontaneo e sincero Thuruban: “non nessuno è più svizzero di me!”.
Istruiti, sensibili e aperti alla discussione (al contrario dello stereotipo del militare tutto muscoli), Saâd, Thuruban e Andrija sanno ridere di sé stessi, degli stereotipi di cui sono troppo spesso vittime. Tristemente abituati a dover rivendicare il loro diritto di definirsi cittadini svizzeri, i tre protagonisti del film hanno inaspettatamente trovato nell’esercito una famiglia accogliente, come se indossando la divisa diventassero, infine, uguali a tutti gli altri. Al di là di quest’apparente accettazione si delineano però, grazie alle numerose discussioni con il regista, anche delle contraddizioni come lo scarso numero di ufficiali di alto grado d’origine straniera. Di certo il servizio militare permette l’incontro di persone di origine sociale, cultura o religiosa diverse ma, come succede anche nella società civile, le alte sfere del potere rimangono fermamente fra le mani di un élite di sicuro non ancora pronta ad accogliere l’”esotismo”, come detto molto bene, e non senza un filo di ironia, da Thuruban.
Grazie alle domande a volte difficili e scomode del regista, come quella di sapere da che parte si schiererebbero se la Svizzera entrasse in conflitto con il loro paese d’origine, il film riesce a far luce sulla difficoltà di conciliare identità diverse che coabitano in una stessa persona rendendola unica. Tessendo abilmente la sua storia personale con quella dei suoi protagonisti, Luka Popadić ci regala un film sincero e rinfrescante, una vera e propria commedia del reale.
My Swiss Army è prodotto da Beauvoir Films, SRF Schweizer Radio und Fernsehen e la RTS Radio Télévision Suisse.
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