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FILM / RECENSIONI Italia / Germania

Recensione: Il mio posto è qui

di 

- Ludovica Martino brilla nei panni di una ragazza madre che sfida il patriarcato all’indomani della Seconda guerra mondiale nel film di Cristiano Bortone e Daniela Porto

Recensione: Il mio posto è qui
Marco Leonardi e Ludovica Martino in Il mio posto è qui

Nell’Italia del secondo dopoguerra, le donne hanno dovuto lottare non poco per contrastare il patriarcato e farsi riconoscere i propri diritti. Ce lo ha raccontato di recente Paola Cortellesi con il suo C’è ancora domani [+leggi anche:
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(fresco vincitore di 6 David di Donatello), e ora, dal 9 maggio nelle sale con Adler Entertainment, ce lo ricorda il nuovo film di Cristiano Bortone, Il mio posto è qui, scritto e co-diretto con Daniela Porto, autrice anche dell’omonimo libro da cui il film è tratto (ed. Sperling & Kupfer). Un dramma ambientato nella Calabria rurale degli anni ’40, dove l’unico destino possibile per una ragazza madre sembra essere quello di andare in sposa a un vedovo, accudire la casa e i figli di lui, e starsene zitta e buona. Al Bif&st di Bari, dove è stato presentato in anteprima nella sezione ItaliaFilmFest/Nuovo Cinema Italiano lo scorso marzo, il film è stato premiato per la miglior regia e per la miglior attrice protagonista.

In effetti, Ludovica Martino è qui alla sua prova più matura e brilla nei panni di Marta, una giovane donna che accetta passivamente il suo posto nel mondo e le decisioni degli altri riguardo alla sua vita. Rimasta incinta il giorno prima che il suo promesso sposo partisse per la guerra, si ritrova nubile e con un bambino piccolo a carico, poiché il fidanzato, dal fronte, non è mai più tornato. “Ci hai trascinati tutti nel fango, e con una bocca in più da sfamare”, le ricordano senza mezzi termini sua madre e suo padre (Bianca Maria D’Amato e Francesco Biscione), mentre la promettono in sposa a un attempato e poco attraente vedovo con due figli, il signor Gino (Antonino Sgrò), contadino. “Meglio di niente”, ridacchiano le sue compaesane.

Marta abbozza in silenzio e intanto, di nascosto, legge i libri che qualcuno le infila nella tasca della giacca. Con poco entusiasmo, cominciano i preparativi per la cerimonia ed è qui che compare Lorenzo (Marco Leonardi), l’assistente del parroco detto anche “l’uomo dei matrimoni”, che con il suo gusto raffinato aiuta le giovani spose a organizzare le nozze e che è dichiaratamente omosessuale, cosa che non gli rende la vita molto facile nel contesto di un paesino calabro alla metà del secolo scorso. Sia Marta che Lorenzo sono costretti a lottare contro i pregiudizi, ogni giorno. Diventano amici, e sarà proprio Lorenzo ad aprire la mente della ragazza, indicandole una buona strada verso la libertà – un corso di dattilografia in un paese vicino – il tutto mentre le piazze cominciano pian piano a riempirsi di donne che rivendicano i propri diritti.

Di storie di emancipazione femminile, ultimamente, se ne sono viste parecchie al cinema; questa ha il pregio di accompagnarsi a un ritratto realistico e sensibile della condizione di estrema povertà del sud Italia rurale degli anni ’40 e anche di offrirci uno scorcio su una comunità queer ante litteram, nascosta e insospettabile. È tutto molto sobrio e l’emozione nasce da cose semplici, come l’atto di battere a macchina: un atto che, al tocco delle giovani dattilografe sulla tastiera, sembra quasi trasformarsi in musica e che per Marta rappresenta la possibilità di un futuro meno crudo e tutto da scrivere.

Il mio posto è qui è una coproduzione italo-tedesca guidata da Orisa Produzioni con Goldkind Film, venduta all’estero da Beta Cinema.

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