Recensione: Iceman
- Corina Gamma racconta l’incredibile vita del celebre esploratore Konrad Steffen, scomparso misteriosamente fra i ghiacci polari ai quali era visceralmente legato

Dieci anni dopo Sila and the Gatekeepers of the Arctic, la regista svizzera formatasi negli Stati Uniti Corina Gamma torna alle giornate di Soletta con Iceman, che compete per il Prix du public. Come il suo predecessore, Iceman ci trasporta tra i misteriosi e fragili ghiacci della Groenlandia, lì dove i cambiamenti climatici si fanno sentire in modo prepotente e terrificante. A farci da guida è il celebre esploratore e ricercatore svizzero Konrad Steffen che rivive grazie alle preziose immagini girate dalla regista in occasione della sua prima visita allo Swiss Camp, ma anche a materiali d’archivio e ai racconti di quanti hanno avuto la fortuna di incontrarlo prima che scomparisse, misteriosamente, nell’agosto del 2020.
Iceman è al contempo un film biografico su un uomo misterioso, appassionato fino all’estremo, e il grido disperato di un luogo che catalizza tutta l’urgenza climatica che il mondo continua a trascurare. Attraverso la ricostruzione della vita di Konrad Steffen, la regista riflette infatti ai cambiamenti profondi che subiscono i ghiacci della Groenlandia (e non solo). Filmati da tutte le angolazioni: dal cielo, dalla terra, fin nel profondo dei loro abissali crepacci, lì dove molto probabilmente giace il corpo di Konrad, i monumentali massi gelati del Circolo Polare Artico e del Polo Nord si trasformano in corpi feriti e trascurati che stanno per scomparire.
In parallelo, quella che si delinea nel film è la personalità complessa e a tratti paradossale dell’esploratore svizzero. Se da un lato, Steffen ha dedicato tutta la sua vita, anima e corpo, allo studio dei ghiacci e alla sua evoluzione, dall’altro ha trascurato una vita famigliare che non entrava nel suo campo visivo che a sprazzi, un po’ come se unire l’infinitamente grande (la Groenlandia) e l’infinitamente piccolo (la famiglia), fosse un’impresa troppo grande persino per lui. Senza rancore, con pragmatica lucidità, i suoi figli raccontano le sue assenze ma anche il soffio di libertà che, malgrado tutto, gli ha sempre portato. Il ritratto di Steffen è anche quello di un uomo della sua epoca, quella delle utopie sessantottine e del sentimento di onnipotenza dei cosiddetti “baby boomers”. Lo smantellamento della stazione di ricerca Swiss Camp al quale assistiamo alla fine del film è in questo senso una metafora dello sgretolarsi di queste utopie, dell’infrangersi, di fronte a cambiamenti climatici sempre più brutali, di sogni a lungo coltivati. Intransigente, a tratti antipatico, quasi “sadico”, come lo descrivono alcuni dei suoi ex studenti, il ricercatore svizzero incarna ciò che l’uomo del suo tempo doveva essere: sicuro di sé e testardamente aggrappato ai suoi obiettivi, un uomo che vede lontano dimenticandosi, a tratti, dei sentimenti di chi gli sta accanto.
Miscela delicata di biografia e film scientifico, Iceman dipinge, con un solo colore che è il bianco, il ritratto inquietante di un mondo non ancora cosciente della sua finitudine.
Iceman è prodotto da tellfilm GmbH e SRF Schweizer Radio und Fernsehen, e SRG SSR.
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