email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

FILMFEST MÜNCHEN 2025

Recensione: I’m Not Stiller

di 

- Per il suo ultimo lungometraggio, Stefan Haupt decide di adattare allo schermo il classico della letteratura di lingua tedesca di Max Frisch

Recensione: I’m Not Stiller
Albrecht Schuch in I’m Not Stiller

Presentato in prima mondiale al Filmfest München dove concorre nella categoria CineCoPro, I’m Not Stiller [+leggi anche:
intervista: Stefan Haupt
scheda film
]
del regista svizzero Stefan Haupt si avvale di un cast d’eccezione: Albrecht Schuch e Paula Beer nei ruoli principali, per mettere in scena uno dei romanzi più emblematici di Max Frisch, uno dei mostri sacri della letteratura di lingua tedesca.

I’m Not Stiller è un film enigmatico che si sviluppa attorno al tema, tanto caro allo scrittore svizzero, dell’identità. Al centro della narrazione troviamo il signor White (Albrecht Schuch), un giovane e dinamico americano nato a Zurigo. Di ritorno nella sua città natale, White si trova però confrontato con quello che lui definisce un errore di persona. Tutti sono infatti convinti che lui sia Anatol Stiller, un promettente scultore scomparso misteriosamente sette anni prima. Le cose si complicano ulteriormente a causa del fatto che Stiller è accusato di essere una spia, un traditore, ragione per la quale Mr. White immediatamente arrestato al suo arrivo in Svizzera. Sebbene James White continui a sostenere di non essere il presunto scultore, tutti, compresa la moglie di Stiller, Julika (Paula Beer), sono convinti che menta. E se Stiller avesse davvero un sosia? Qual è la verità che si nasconde dietro la testardaggine di White? I’m Not Stiller spinge il pubblico ad interrogarsi sul concetto stesso di realtà, sui suoi limiti. E se il linguaggio non fosse sufficiente ad esprimerla? E se la coppia, così come la società eteropatriarcale l’intende, non fosse che una dolorosa imposizione?

Immerso in un’atmosfera dai toni hitchcockiani, il film spinge gli spettatori a interrogarsi sulla possibilità di ricominciare tutto da capo come se la vita non fosse una sola ma molteplici, come se si potessero tessere infiniti rapporti sociali, sentimentali e famigliari, come se ci si potesse davvero sentire liberi di essere chi si vuole essere. La testardaggine ma anche la spensieratezza di White, il suo esaltare il progresso e la grandeur degli Stati Uniti mettendo in avanti l’eccessiva pignoleria svizzera, si rifà all’immaginario proprio a Max Frisch, al suo voler criticare una società che conosce sin troppo bene.

Sebbene il regista abbia optato per un adattamento piuttosto classico del romanzo, il fatto che metta la moglie di Stiller, Julika, una ballerina classica obbligata a smettere di esibirsi a causa della tubercolosi, al centro dell’intrigo rende la storia molto moderna. Julika è infatti una donna indipendente e ambiziosa malgrado le limitazioni della società in cui vive, un’artista che non si accontenta certo del ruolo di musa. Questo suo aspetto ribelle (interessantissima in questo senso la scena in cui afferma senza mezzi termini al marito di non avere nessuna intenzione di abbandonare la sua carriera per avere dei figli), la trasforma in tutti i sensi in eroina di una storia alla base costruita attorno ad un personaggio maschile.

Classico nella forma ma moderno nei temi, I’m Not Stiller rimane fedele al romanzo di Max Frisch apportando però il suo tocco personale. La giovane età dei due protagonisti regala in questo senso al film una freschezza sicuramente benvenuta.

I’m Not Stiller è prodotto da C-Films AG (Svizzera), Walker + Worm Film (Germania), e coprodotta da Studiocanal GmbH (Germania) e la SRF.

(Tradotto dall'inglese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy