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ZURIGO 2025

Recensione: Gavagai

di 

- Il complesso e avvincente dramma di Ulrich Köhler segue le travagliate riprese di un adattamento di Medea in Senegal, e poi la sua première a Berlino

Recensione: Gavagai
sx-dx: Roch Peton, Anna Diakhere Thiandoum, Nathalie Richard e Jean-Christophe Folly in Gavagai

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, due critiche pungenti e lucidissime ai ricchi e ai potenti, ci si chiede cosa il regista potrebbe essere tentato di prendere di mira nel suo stesso ambiente, l'industria cinematografica. I mezzi con cui i film vengono acquistati, venduti e realizzati, e la loro visibilità sul mercato, possono apparire complessi e tentacolari quanto il mondo stesso, riecheggiandone perfettamente i rapporti di potere e le alleanze nazionali. Nel suo nuovo film, Gavagai, il regista tedesco Ulrich Köhler si avventura nel territorio in cui Östlund eccelle, osservando le microaggressioni, le decisioni prese in malafede e l'egotismo insicuro che affliggono la realizzazione di un film coprodotto a livello internazionale, commentando con autocritica ma senza mai scivolare nel marciume da lui diagnosticato. Dopo la première mondiale al New York Film Festival, che da sempre valorizza l'opera di Köhler, il film è ora in programma allo Zurich Film Festival.

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Cresciuto nello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) come figlio di operatori sanitari di una ONG, Köhler ha sempre avuto la tendenza a tornare nella sua regione natale per realizzare i suoi film, prima con Sleeping Sickness [+leggi anche:
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, vincitore dell'Orso d'Argento a Berlino, e ora con questo lungometraggio, direttamente ispirato dalla sua esperienza nella realizzazione di quel film e dalla sua prima mondiale. Nourou (Jean-Christophe Folly) e Maja (Maren Eggert) sono attori in Senegal che interpretano un adattamento postmoderno della Medea di Euripide, sull'omonima figura mitologica spinta in modo sconvolgente a uccidere i propri figli. La regista, Caroline (Nathalie Richard, che per alcuni spettatori più anziani ricorda Claire Denis, ma probabilmente è stata scelta alla luce del suo ruolo memorabile in Irma Vep, un altro film sulla realizzazione di un film), sta tentando un'interpretazione ambiziosa ma potenzialmente fuorviante del testo originale, trasformando il personaggio di Medea, interpretato da Maja, in un'intrusa bianca tenuta a distanza da Giasone (interpretato da Nourou) e dalla sua tribù di Argonauti, qui rappresentati come neri e indigeni nel contesto della città di Corinto.

Mentre i due attori iniziano una relazione passionale nell'intimità delle loro stanze nell'hotel della troupe, vediamo come la grandiosa irragionevolezza di Caroline prevalga sulle sue nobili intenzioni artistiche con la sua improprietà e la sua propensione al rischio, e, in generale, come i creativi bianchi si impongano sul loro ambiente, rievocando una relazione di tipo coloniale. Il titolo del film si riferisce a un famoso esperimento filosofico in cui le persone gridano "gavagai" indicando un coniglio, anche se l'interiezione non si riferisce necessariamente all'animale, per evidenziare la natura arbitraria del linguaggio. Come nei film di Östlund, il linguaggio professionale e la cautela di Nourou e Maja fanno sì che Caroline non si renda conto che qualcosa sta andando storto.

I problemi si aggravano quando il film completato viene presentato in anteprima alla Berlinale l'inverno successivo (un segmento del film in cui Köhler inserisce diversi spezzoni visivamente sontuosi del festival), un evento rappresentato con tale precisione che gli addetti ai lavori si sentiranno trasportati lì alla vista del Grand Hyatt di Potsdamer Platz e del Palast. Una guardia di sicurezza razzista che impedisce a Nourou di entrare nel lussuoso hotel offre a Maja l'opportunità di intervenire, in vero stile "salvatrice bianca". Più avanti nel film, durante una conferenza stampa molto imbarazzante, Caroline e il suo cast incontrano diverse reazioni scettiche. Ciononostante, poiché la prospettiva di Caroline rispecchia anche quella di Köhler, quest'ultimo non risulta mai moralista. Il suo film non è un sermone rivolto ai suoi colleghi registi, ma l'espressione di un interrogativo pertinente sul numero di volte in cui un film che si dichiara politico fatica a far passare il suo messaggio, e sul fatto che l'intenzione più confusa che chiara di un artista può rivelare una forma di integrità del tipo più perverso.

Gavagai è prodotto da Germania e Francia, da Sutor Kolonko in coproduzione con Good Fortune Films. Le vendite mondiali sono a cura di Luxbox.

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(Tradotto dall'inglese)

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