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Esteban Roel e Juanfer Andrés • Registi

"Alex de la Iglesia è uno dei nostri punti di riferimento cinematografici"

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- L’opera prima dei registi Esteban Roel e Juanfer Andrés, Shrew's Nest, un thriller girato nel chiuso di un appartamento e prodotto da Alex de la Iglesia, è in gara al Sitges

Esteban Roel e Juanfer Andrés  • Registi

Esteban Roel, 45 anni, è messicano ma vive in Spagna da 18. Juanfer Andrew, 39 anni, è originario di La Mancha. Entrambi sono autori dei cortometraggi 036 e Es un buen chaval e insegnano all’Istituto del Cinema di Madrid. Il loro primo lungometraggio, Shrew's Nest [+leggi anche:
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, è stato presentato a Toronto e ad Austin prima di approdare alla sezione ufficiale “Fantástic” del 47° Festival Internazionale del Cinema Fantastico di Sitges

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Cineuropa: È da molto tempo che siete una coppia artistica?
Esteban Roel: Da anni siamo come una troupe: il team di Shrew's Nest è lo stesso con cui abbiamo girato i nostri corti. Anche Sofia Bacino, co-sceneggiatrice insieme a Juanfer, è una nostra ex studentessa.
Juanfer Andrés: Il film è basato su un cortometraggio che abbiamo girato a scuola: volevamo fare un progetto economico e facile da gestire, con pochi personaggi e una sola location, poiché puntavamo alla semplicità. 

Come siete arrivati a collaborare con Alex de la Iglesia?
E.R.: Abbiamo lavorato con la moglie, Carolina Bang, la quale è stata co-produttrice di 036. È grazie a lei che la sceneggiatura è arrivata ad Alex. Secondo lui, aveva del potenziale e ci ha detto che voleva girare un film in grande stile. Ci ha aiutato a mettere insieme questo cast fenomenale: Hugo Silva, Luis Tosar, Macarena Gómez...
J.A.: Ci siamo sentiti molto sostenuti da Alex. Ci ha contattato perché ha notato delle cose che gli piacevano. Siamo suoi fan e per noi è un punto di riferimento cinematografico. 

Avete girato su un set o in un appartamento vero?
E. R.: In due appartamenti semi-abbandonati a Madrid. Abbiamo montato la produzione in quello inferiore. Avevamo progettato di costruire un set, ma alla fine credo che la mancanza di spazio sia stata un vantaggio: ha reso la narrazione molto realistica, poiché i membri della troupe erano accalcati come i personaggi. Ciononostante, siamo riusciti a muoverci perfettamente e abbiamo addirittura realizzato un travelling nel corridoio. L'appartamento era labirintico e alcune delle pareti antiche che si vedono nel film erano originali. La casa in cui è rinchiusa Montse, la protagonista, costituisce un personaggio a sé.
J.A.: Per questo volevamo che fosse realistica e trasmettesse una sensazione di claustrofobia.

Perché avete deciso di ambientare il film negli anni '50 e non al giorno d'oggi?
J.A.: La sceneggiatura, prima di subire molti cambiamenti, doveva essere ambientata al giorno d'oggi...
E.R.: Ma con i cellulari e i GPS, se un uomo scompare per più di 24 ore, lo vanno a cercare. A quell'epoca, invece, era più plausibile che fosse stato sequestrato per cinque giorni da una donna, che è proprio ciò che racconta il film.
J.A.: Inoltre, una ragazza di 18 anni, come il personaggio di Nadia de Santiago, a quei tempi era completamente diversa da una diciottenne dei giorni nostri. Affinché la trama funzionasse, era essenziale che le sorelle avessero bisogno l'una dell'altra. Gli elementi della sceneggiatura si addicono di più a quel periodo storico: la malattia di Montse, il rapporto con la religione, il maschilismo imposto dalla famiglia...
E.R.: Inoltre, penso che il film ci guadagni anche dal punto di vista estetico grazie al trucco, alle acconciature, ai vestiti e all'energia dei personaggi. Oggi viviamo in un periodo in cui siamo più aperti, quindi una storia così tragica risulta più credibile ambientata in quel periodo storico.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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