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VENEZIA 2013 Giornate degli Autori

Bethlehem, doppio gioco e amicizia impossibile

di 

- Il regista Yuval Adler presenta alle Giornate degli Autori di Venezia un racconto sul complesso rapporto tra un agente israeliano e un giovane informatore palestinese

Bethlehem, doppio gioco e amicizia impossibile

Lo vediamo sin dalla prima scena di che pasta è fatto Sanfur, il giovane protagonista di Bethlehem [+leggi anche:
trailer
intervista: Yuval Adler
scheda film
]
, opera prima del regista israeliano Yuval Adler. Sfida un gruppo di suoi coetanei a farsi sparare indossando un giubbotto antiproiettile consumato, perché lui è il fratello minore di Ibrahim, un combattente palestinese ricercato, e deve dimostrare di non aver paura di niente e nessuno. Vive all'ombra del fratello, lo sostiene nelle sue azioni terroristiche trasferendogli soldi, ma ben presto scopriamo che ha una doppia faccia, perché aiuta anche i servizi segreti israeliani a mettersi sulle tracce di Ibrahim.

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E' sul complesso rapporto tra Sanfur e Razi, agente israeliano che lo ha reclutato come informatore quando era appena quindicenne, che ruota il film di Adler, una coproduzione tra Israele, Belgio e Germania presentata alle Giornate degli Autori della 70ma Mostra di Venezia. Razi si fida ciecamente di Sanfur, a costo di andare contro i suoi stessi superiori, che quando scoprono il doppio gioco del ragazzo, non esitano a chiedergli di sacrificarlo per arrivare a Ibrahim. Così, da quel momento, anche Razi comincerà a mentire, per salvargli la vita. Ma quando Ibrahim verrà stanato e assassinato, Sanfur sarà costretto a vendicare suo fratello.

Oltre ad essere una ben documentata spy story che introduce lo spettatore nell'intelligence israeliana ma anche nelle contraddizioni delle ali combattenti palestinesi al-Aqsa e Hamas (in una scena li vediamo persino litigarsi la salma del "martire" Ibrahim), Bethlehem è un dramma psicologico che mette i suoi due protagonisti a confronto con dilemmi morali irrisolvibili. Razi è come un padre per Sanfur, il ragazzo accetta le sue attenzioni perché in fondo ne ha bisogno. Tra i due, cova un affetto che intuiamo sincero.

"Nel mio film non ci sono metafore", ha spiegato il regista all'applauditissima prima veneziana, "ma storie di individui, quelle che abbiamo ascoltato durante il nostro lavoro di ricerca, durato quattro anni". "Volevamo raccontare di questi uomini coinvolti nel conflitto, anche se non in prima linea. Ci interessavano le ripercussioni del conflitto sulla loro vita", ha aggiunto il co-sceneggiatore, il giornalista Ali Waked, corrispondente da Ramallah e Gaza per oltre dieci anni.

I protagonisti, Tsahi Halevy e il giovane Shadi Mar'i, sono attori non professionisti. Così come Hitham Omari, che nel film guida le brigade al-Aqsa. "Nella vita faccio il cameraman per il telegiornale", ha raccontato quest'ultimo, "e quando ho letto la sceneggiatura, l'ho trovata aderente alla realtà. Nel conflitto non esiste il bianco e il nero, c'è una zona grigia, e questa andava esplorata".

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